The Laboratory of the Future è una Biennale di Architettura ad alta intensità che richiede riflessione: denunciando molto, rispondendo spesso e offrendo anche qualche spiraglio di ottimistico futuro

Ogni singolo contributo di questa Biennale di Venezia 2023 – che appartenga alla sezione Special Participations, Dangerous Liasons, Curator’s Special Projects, Force Majeure, o Guests from the Future a -  è un saggio, se non una dichiarazione d’intenti, un progetto allargato che abbraccia e indaga l’architettura nella sua accezione più estesa.

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È una mostra che, per scelta specifica della curatrice Lesley Lokko, ferma la concezione convenzionale dell’architettura con l’intenzione non “di sostituire, ma di aumentare. Espandere, non contrarre. Aggiungere, non sottrarre”.

“L’idea che l’architetto sia l’unico autore del processo di creazione architettonica non è più valida” conferma Mass Design Group, uno dei partecipanti alla sezione Force Majeur nel Padiglione Centrale dei Giardini. Con la sua 'ridefinizione' Afritect, presenta una nuova generazione di architetti africani che operano in base a soluzioni e idee al contempo africane e di ispirazione globale.

The Laboratory of the Future, agente di cambiamento

Seguendo il filo conduttore del Cambiamento, The Laboratory of the Future racconta tante storie che catturano la concentrazione – la si percepiva negli sguardi attenti e meravigliati di molti dei visitatori, richiamati anche dalla molteplicità di suoni e odori ancestrali - e obbliga a sviscerarle nelle loro sfaccettature che si declinano in produzione, risorse, rappresentazioni, tutte ugualmente indispensabili in una mostra di architettura.

I temi delle installazioni: decolonizzazione e decarbonizzazione

Le installazioni sono attraversate, con più o meno potenza, dai temi complessi e spesso dolorosi della decolonizzazione e decarbonizzazione. Proprio quest’ultima è stata affrontata fin dall’allestimento della mostra che ha riutilizzato, adattandola, la struttura ereditata da Cecilia Alemani, curatrice della precedente Biennale Arte (principio sposato appieno, per esempio, dal padiglione della Germania).

“Siamo ben consapevoli della necessità di quantificare gli sforzi dal punto di vista statistico, con numeri concreti anziché con obiettivi vaghi e generici – ha dichiarato Lokko durante la conferenza stampa di apertura - ma riconosciamo allo stesso tempo che i cambiamenti debbano essere anche culturali e che la filosofia delle mostre di architettura sia destinata a mutare. I cambiamenti devono avvenire da entrambe le parti: dai partecipanti e dal pubblico”.

Africa e diaspora africana

Argomenti rimasti astratti in questi mesi di letture preparatorie all’esposizione, finalmente si comprendono e si interiorizzano osservandoli dal vivo. Così come si afferra appieno il significato della scelta della curatrice di puntare i riflettori “sull’Africa e sulla diaspora africana, quella cultura fluida e ingarbugliata di persone di origine africana che oggi attraversa il globo”.

“…Perché il passato, per loro (i popoli un tempo assoggettati dall’Occidente), era la giungla del capitalismo occidentale, non la luce che i missionari pensavano di aver portato con sé” sottolinea lo scritto di Nadine Gordimer che accoglie i visitatori nel Padiglione Centrale dei Giardini.

Chidirim Nwaubani e il rimpatrio digitale delle opere d’arte trafugate

Solo per citare alcune delle proposte creative proiettate nel futuro, quella del designer nigeriano Chidirim Nwaubani (Special Project alle Corderie dell’Arsenale) è una rivoluzionaria operazione di “rimpatrio digitale” di opere d’arte trafugate, custodite in prestigiose istituzioni situate principalmente nel Nord del mondo. La sua piattaforma Looty le registra digitalmente e le mette a disposizione sulla blockchain come NFT, offrendo una soluzione inaspettata alle dispute sulla restituzione di opere d’arte africana. In questo modo giovani studenti, artisti, architetti e creativi africani hanno accesso alla produzione culturale ancestrale.

Thandi Loewenson, Leone d’Argento: la grafite come strumento per la  giustizia climatica

Legata all’arte anche l’istanza di Thandi Loewenson, nata nel 1989 ad Harare nello Zimbabwe e vincitrice del Leone d’Argento come promettente giovane partecipante. I suoi Uhuru Catalogues riuniscono i siti inestricabilmente intrecciati attraverso cui si deve cercare la liberazione africana. Qui, la grafite diventa “uno strumento carico” che mira a stimolare i movimenti per la giustizia climatica, per un futuro equo per tutti, nel continente e oltre.

Quali futuri possibili? Le domande dei giovani architetti

“Con sguardo miope abbiamo dato per scontata la nostra esistenza sulla Terra…. Perché la Terra è stata considerata in modo così limitato?”, interroga il camerunese Achille Mbembe, uno dei massimi teorici del postcolonialismo, la cui riflessione introduce le installazioni alle Corderie dell’Arsenale.

Origins di MMA design studio Mphethi Morojele (Maseru, Lesotho, 1963) azzarda una poetica soluzione: “Per sopravvivere al futuro, dobbiamo risalire a un futuro ancora più antico, un futuro che ci reintegri in un mondo vivente di altri esseri animati e inanimati”.

L’ottimismo radicale di Liam Young

L’ottimismo radicale di Liam Young emoziona. Con il cortometraggio The Great Endeavor (il grande sforzo) l'impresa di rimuovere dall'atmosfera l'anidride carbonica e immagazzinarla sottoterra è a portata di mano. Il “grande sforzo” per catturare tutto questo carbonio comporterà la costruzione del più grande progetto ingegneristico della storia umana e lo sviluppo di una nuova infrastruttura equivalente per dimensioni a quella dell'intera industria globale dei combustibili fossili.

Il laboratorio del presente

La mostra The Laboratory of the Future è molto concentrata sulle conseguenze climatiche e - come ha sottolineato il presidente Roberto Cicutto in occasione della cerimonia di premiazione della 18. Mostra Internazionale di Architettura, avvenuta a pochi giorni dalle devastanti inondazioni dell’Emilia Romagna - si sta trasformando in laboratorio del presente.

Partire quindi da un laboratorio esistente, l’Africa, che nella sua storia ha già affrontato crisi che tutto il resto del mondo si trova a fronteggiare ora, si sta confermando la scelta più adatta.