Il designer Francesco Faccin ha presentato il suo primo libro, edito da Corraini, Zattere: dieci storie progettuali per riflettere in modo radicale sulla natura umana

Quello che Francesco Faccin ha appena pubblicato con Corraini è un piccolo libro di parole e disegni che usa il pretesto di un oggetto povero per evocare le parti più eroiche del vivere umano: inventare, rischiare, conoscere, eludere la paura e varcare continuamente nuove soglie.

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Dal particolare all’universale, e poi di nuovo indietro alle storie individuali per andare verso le origini della natura umana. Francesco Faccin fa un piccolo miracolo con “Zattere”, una magia narrativa costruita per parlare dell’uomo nella sua frazione più eroica e poetica: quella progettuale.

“Tutti diventiamo progettisti nel momento del bisogno. Progettisti, non designer”, dice Faccin.

E infatti la parola design esce dalla narrazione, sparisce, per evitare fraintendimenti. Progetto significa cercare soluzioni per tentativi, per prove e osservazioni contraddittorie, attraverso un empirismo che ha in sé la radice di ogni invenzione. La zattera, intesa come allegoria progettuale, è la metafora di come l’uomo sta sulla terra, nella necessità, nel mistero e, a volte, nell’emergenza.

Sei partito dall’Odissea e da Ulisse, che costruisce la sua barca per compiere il viaggio della vita. Da dove viene l’idea di “Zattere”?

Francesco Faccin: “Conservo dentro di me una serie di riferimenti intellettuali ed etici utili, alti, che poi porto a terra nei progetti di tutti i giorni. Ho bisogno di ispirazioni lontane dal mio mondo per ragionare sul perché noi facciamo le cose, sulle origini della creatività, sulla nostra necessità di produrre.

Mi ha sempre stupito che sia una peculiarità umana che ci rende così diversi da altri mammiferi. Un coccodrillo è uguale a se stesso da 260 mila anni, noi invece abbiamo avuto fin dagli esordi la necessità di costruire oggetti che sono estensioni di noi stessi".

"Zattere nasce da una richiesta di Pietro Corraini per un progetto che rientrasse nella corrente di prodotti più munariani, come la Scatola di Architettura. Gli ho proposto di fare una zattera montabile per bambini.

Non è stato un pensiero casuale, la zattera è un concetto che ritorna spesso nella mia mente. Siamo arrivati fino al prototipo, per poi renderci conto che dovevamo abbandonare tutto per motivi banalmente normativi.

Ma è successa una cosa ancora più importante: con il passare del tempo la ricerca ha superato il progetto, si è moltiplicata in una serie di sottostorie, di esempi, di ragionamenti più ampi. Corraini me l'ha fatto notare e mi ha spinto a costruire un libro.

Ho scelto di lavorare con Sistemamanifesto, uno studio fondato da tre giovani molto in gamba laureati al PoliDesign (sono Gaia Brambilla, Veronica Camera e Filippo Da Prada) focalizzato dichiaratamente solo sulla fase di ricerca, quella che precede il progetto.

Con loro abbiamo approfondito la ricerca, ragionando a lungo su casi studio e sulla serie di ragionamenti che ispirano. Mi è servito molto per riflettere sulle parti fondanti del nostro essere animali progettanti".

La zattera è la nostra attitudine a esplorare il mondo. Un oggetto fatto di scarti, nell’emergenza, che però può essere segnale di inizio, o di continuità. Come le isole di materiale plastico che trasportano elementi organici da un continente all’altro, presenze innaturali che interagiscono e convivono con il mondo naturale.

Durante la presentazione di Zattere all’ADI ne abbiamo parlato a lungo: sono stanco di sentire che siamo i parassiti del pianeta, perché questa è una grande scusa per bloccarsi nella paura e nell'immobilismo.

Cerco di insegnare ai giovani a scrollarsi di dosso questo senso di colpa, perché la nostra storia millenaria dice che continuiamo a produrre qualità assoluta e meraviglia in mezzo ai tanti errori e alle distruzioni. E siamo dotati di una capacità autocritica che mi fa ben sperare. Mi interessa poco capire come finirà, quello che mi interessa è continuare a produrre bellezza”.

È un libro che diverte, rincuora, stupisce e ispira parlando di 10 “zattere” destinate a solcare i mari, il cielo e lo spazio. Da quale urgenza nasce?

Francesco Faccin: “Vorrei trasmettere un’idea radicale, che ci appartiene: guardarsi intorno come se fossimo naufraghi, usando quello che c’è con coraggio, inventiva. Spero che i ragionamenti astratti di Zattere possano poi essere utilizzati nel quotidiano.

Si tratta di avvicinare la distanza fra utopia e vita pratica, cercando di far coincidere due istanze che non coincideranno mai: l’ideale e il reale. Questa tensione incoercibile è il motore positivo dell’uomo.

"L’altro tema è la necessità: la zattera parla sempre di un bisogno di andare altrove, di scappare, di salvarsi. Di un progetto inevitabile, di una questione di vita o di morta. E noi in realtà oggi parliamo molto poco di necessità, come designer.

Abbiamo bisogno di farci invece domande urgenti: è corretto quello che sto facendo nei confronti dei clienti, delle persone, delle aziende? Quando mai oggi si parla di necessità?

A forza di farsi domande non possiamo che rallentare la produzione in modo spontaneo. Perché per rispondere all’imperativo etico richiede tempo. Vedo ancora una coda di iperattività in molti colleghi e in molta industria: personalmente preferisco campare mettendo tante attività insieme pur di fare pochi prodotti. La mia ideologia mi impone di non entrare in dinamiche contraddittorie rispetto a una visione che ho del mondo, non solo del mio lavoro”.

Parlare di progetto allora significa parlare della natura degli esseri umani?

Francesco Faccin: “Scrivere Zattere è stato come tirare una linea, dichiarare a che punto sono nella mia pratica e nella mia vita. Non è un esercizio astratto, ma legato a azioni quotidiane, a scelte personali.

Spero che sia un invito concreto a ricominciare a sporcarsi le mani, ad avere coraggio di vivere nel mondo reale, di solcare terra e mare per capire davvero le cose, con ostinazione.

Mentre lavoravo a Zattere con Sistemamanifesto abbiamo contattato tutti i “progettisti”, gli autori delle imprese raccontate, per chiedere il permesso di usare le loro storie e le loro immagini. Uno di loro era introvabile. Non ha risposto alle nostre mail per un anno.

Uno dei ragazzi allora si è messo in viaggio, è andato fisicamente a cercarlo, si è informato nei bar, ha parlato con le persone. Quando finalmente l’ha trovato lui era ovviamente ostile all’idea di finire in un libro. Ma il ragazzo l’ha convinto. Se non si fosse messo fisicamente in viaggio, con coraggio e testardaggine, non ci saremmo mai riusciti. È la stessa radice dell’attitudine con cui Werner Herzog ha lavorato ai suoi film, a volte ferendosi, a volte rischiando la vita.

Dietro a questo aneddoto c’è il richiamo insistente all’esplorazione. La zattera è un oggetto che mi fa sognare, che mi ricorda che viviamo in un pianeta selvaggio, in cui si parte e non si sa davvero se si arriva".

Immagine di copertina: Courtesy Ismaël Essome, Madiba & Nature