Quasi tutti i rifiuti urbani sono composti da imballaggi. La soluzione? Razionalità e tanto lavoro di ricerca (seria)

Gli obiettivi di Ikea sono sempre un passo più avanti, un po’ più incisivi e ambiziosi di quelli degli altri brand. L’ultimo annuncio è che entro il 2025 tutti i nuovi prodotti immessi sul mercato saranno in imballaggi plastic-free.

Ancora una volta il gigante dell’arredo riesce ad anticipare il settore in tema di green transition. Ma soprattutto Ikea ha energie, economiche e logistiche, per candidarsi come il marchio di arredamento che decide il passo della transizione ecologica. L’obiettivo è diventare carbon positive entro il 2030, che significa emettere meno gas serra di quello prodotto dall’intera catena produttiva. Insomma: eliminare anche parte della carbon imprint altrui.

I produttori di plastica partecipano alla green transition

Quando si parla di plastica si tocca un argomento molto sensibile. La green transition, urgente quanto bisognosa di tempo e investimenti, impone dei ragionamenti seri e, soprattutto, basati su fatti e investimenti. Lo ha confermato Antonello Ciotti, presidente CPME (il consorzio che riunisce i produttori europei di Pet) durante la conferenza stampa che ha annunciato la settimana scorsa la vittoria del primo ricorso italiano contro il greenwashing.

La filiera produttiva europea, che l’anno scorso ha prodotto 58 milioni di tonnellate di materie plastiche (il 3% in meno dell’anno prima), è in allerta e consapevole. Ma sottolinea il bisogno di ragionamenti razionali e l’inutilità della demonizzazione di un materiale che, al momento, è insostituibile.

La legge italiana fa la sua parte in tema di packaging sostenibile

I numeri parlano chiaro: il 40% delle materie plastiche serve al packaging. Il 94% dei rifiuti urbani è composto da imballaggi. La GDO è la principale responsabile, seguita ovviamente dai marketplace digitali. L’Europa si sta occupando del tema dal 2018, anno in cui ha fissato dei target (ambiziosi) per i prossimi anni.

Conseguire il riciclo del 50% degli imballaggi di plastica entro il 2025 e del 55% entro il 2030. L’Italia ha tradotto questi obiettivi nel decreto 118/2020, che stabilisce dei criteri per le aziende produttrici. La composizione del packaging deve rispettare la salute dell’uomo, oltre a ridurre l’impatto ecologico.

I brand di design ragionano sulla sostenibilità, anche dei packaging

Le aziende di design stanno facendo ragionamenti rigorosi a questo proposito. Molte pubblicano ormai da qualche anno i propri sustainability report, che attestano la certificazione di un impegno costante in tema di ecologia.

La riflessione sulla logistica, sugli imballaggi e sull’utilizzo sensato dei materiali è endemica, per fortuna. E appassionante, sia per i progettisti che per gli imprenditori. La consapevolezza cresce ed è ormai chiaro che “Non esiste sostenibilità senza scienza”, come afferma Elena Stoppioni, presidente di Save The Planet.

Scienziati, ingegneri e designer: ecco quello che serve per risolvere

Mancano ancora figure professionali specializzate all’interno delle aziende. Utili non solo per “transitare” verso un design system meno impattante, ma soprattutto per farlo in modo razionale. Ingegneri e scienziati in primis, dice Elena Stoppioni. Che non cita però il fondamentale contributo del design nel integrare la variabile umana (estetica, formale, d’interazione) nel processo.

Senza una filosofia a monte, senza un ragionamento utile a dare un senso valoriale e morale alla green transition, il rischio è di non coinvolgere le persone che, con le loro scelte e i loro desideri, sono un importante ago della bilancia ecologica. E questo è un lavoro da designer.