“Ogni uomo è designer. Quasi tutto quello che facciamo è design”: questo incipit è diventato il principio attivo assimilato dai principali teorici del design, oggi.
“È vero, ma non dimentichiamoci che in un altro incipit, quello alla prefazione del saggio, Papanek accusa il design industriale di essere ‘fra tutte le professioni, una delle più dannose’ e di ‘approntare le sgargianti idiozie propagandate dagli esperti pubblicitari’.
Questa sua analisi a due facce - il design sugli altari e, allo stesso tempo, nella polvere - avviene in un momento radicale per le teorie del progetto.
Sono gli anni delle denunce militanti di Ralph Nader, Rachel Carson e Vance Packard, dell’attacco alla Società dei consumi di Baudrillard.
E, ancora, gli anni in cui la critica del design cambia passo e arriva a individuare nel design un fattore di crisi: per Papanek, il design industriale come lo si conosceva allora doveva finire per abbracciare una prospettiva olistica.
Senza Papanek, non si parlerebbe oggi di svolta ontologica del design.
La forza di quel pensiero sta nella coscienza critica che in qualche modo chiede di sviluppare: se tutti siamo designer, non è solo il professionista a dover avere consapevolezza delle conseguenze politiche, sociali ed ecologiche del suo operato, ma chiunque.
Quella di Papanek vuole essere una lezione morale”.