Vestito e oggetto insieme, la tuta è l’emblema della sperimentazione tra corpo, design e abbigliamento

La tuta rappresenta una costante nel rapporto tra moda e design, una sorta di universale culturale che attraversa la storia di entrambe le discipline.

Nonostante ritorni ciclicamente, questa forma estrema di uniforme supera l’idea di tendenza e diventa un classico talmente depositato nell’immaginario da diventare oggetto di progettazione e riprogettazione costante.

In ogni sua manifestazione la tuta si lega a doppio filo a istanze politiche e sociali, dalle questioni operaie alla guerra, dal design radicale alla sostenibilità.

La tuta, da Thayaht a Balla

Non a caso la sua concezione e il suo nome sono il frutto dell’intuizione futurista del fiorentino Thayaht che nel 1919 concepisce un nuovo oggetto, talmente nuovo che genera una nuova parola mai sentita.

TuTa deriva probabilmente dalla storpiatura di tout-de-même, ma forse dalla forma di questo strano abito a T che sta all’abito come la T-shirt sta alla camicia.

Semplice, pratica, igienica, popolare (persino populista), mette diligentemente a frutto i dettami del Manifesto dell’Abito Antineutrale scritto da Giacomo Balla nel 1914 che suggeriva di passare dall’abito borghese a uniformi coloratissime e piene di energia.

Il Dressing Design di Archizoom: vestirsi è facile

Qualche decennio dopo, al grido radicale di “vestirsi è facile perché l'eleganza è morta”, Lucia e Dario Bartolini di Archizoom propongono le loro tute, ancora una volta da intendersi quale simbolo di ribellione.

Il Dressing Design (1971-1973) guarda alla semplicità produttiva, alla praticità, a una provocazione che non rifiuta il sorriso.

Il loro “vestire contro” sottolinea un atteggiamento tipicamente anti-sistema, che rifiuta i vecchi canoni della moda ma flirta con quelli emergenti, come dimostrano le collaborazioni con Elio Fiorucci e Oliviero Toscani.

La tuta tra design e fashion: Nanni Strada

A proposito di design, anche Nanni Strada ha reinventato la tuta a più riprese, unendo la produzione industriale con l’essenzialità dei costumi tradizionali di Africa del Nord ed Estremo Oriente (pensiamo al concorso per l’Abito Nazionale Arabo-Islamico del 1974), arrivando alla performance tecnica più estrema con le tute ignifughe per piloti di Abarth System del 1984.

La tuta oggi: l’abito-oggetto

Ovviamente la moda si è ciclicamente confrontata con il tema, a volte con abiti tecnici come le tute da sci di Prada e Chanel, altre con tute che diventano abiti da sera (come gli overall di Valentino e di Raf Simons per Calvin Klein), oppure con inaspettate ibridazioni (ad esempio i little black jumpsuit di Erdem).

Lo ha fatto anche Gentucca Bini nel 2015 con il progetto The charm of the uniform, completi ideali disegnati con e per un gruppo di artisti e intellettuali a lei vicini.

La tuta è per antonomasia l’abito-oggetto, il capo che non prende la forma del corpo ma gli dona una silhouette che dichiara indipendenza, libertà e anticonformismo. Per questo la tuta può diventare tuta blu, tuta da ginnastica, persino tuta spaziale, mantenendo in ogni incarnazione la sua identità di capo di ricerca e innovativo.

La sua semplicità profonda le permette di adattarsi a ogni tipo ideale di corpo e a ogni concetto, nell’attesa della sua prossima manifestazione che - possiamo dire con assoluta certezza - ci segnalerà un nuovo cambiamento.