Una mostra che, attraverso il legno, celebra la cultura del fare e un ritorno al giusto tempismo delle cose

Dal 7 al 9 giugno l’Istituto Italiano di Cultura di Copenhagen metterà in scena – con il titolo Timemade - una collezione di manufatti in legno nata dalla ricerca estetica di David Dolcini, iniziata nel laboratorio di falegnameria della sua famiglia nel 2020.

Attingendo da questa eredità familiare, Dolcini ha sviluppato una serie di oggetti unici che, senza vincoli funzionali o di design, riflettono la complessa natura del tempo.

Declinando in diversi modi la dimensione temporale - ben espressa dal titolo Timemade, cioè 'fatto dal tempo' -, Dolcini celebra una cultura del fare fondata su tecniche artigianali e un approccio progettuale ben lontani dai tradizionali ritmi della produzione industriale.

Marco Sammicheli lo ritiene “un ritorno al giusto tempismo delle cose” in cui anche l’imprevisto e la casualità sono accolti serenamente dal designer ed esaltati dalla natura mutevole e seducente del legno.

Timemade è il risultato di un percorso iniziato nel 2020 durante la pandemia, come è nato?

A differenza di tutti i miei precedenti progetti Timemade è nato senza una visione. Le situazioni creano sempre delle opportunità: so che può suonare scontato perché tanta gente ha fantasticato intorno al tema del Covid e tutti ne abbiamo sofferto in qualche modo e abbiamo dovuto cercare degli appigli in quei momenti difficili.

Nel mio caso il mio appiglio è stato il laboratorio, dove venivo a sperimentare nei momenti più calmi in cui non dovevo assistere la mia famiglia.

Quali sono state le sue evoluzioni nel tempo?

Tutto quello che avevo dentro a livello di studi e ricerche è venuto fuori in modo spontaneo: l’arte tradizionale cinese, la botanica, tutto si è mischiato.
Ogni serie è una conseguenza logica e naturale di quello che è venuto prima, senza un vero scopo e senza scadenze.
Ogni volta che mi sentivo appagato, la mia ricerca evolveva in qualcosa di nuovo. Solo ora, guardandola da lontano, appare come una vera collezione, con un inizio e una fine.

Si tratta di oggetti unici dalle forme inusuali. Sono stati pensati per contesti specifici?

I pezzi si presentano come delle piccole architetture o degli esoscheletri senza funzione. Io li ho avuti nel mio studio per tanto tempo e, spostandoli da un ambiente all’altro, li ho visti mischiarsi e dialogare con altri oggetti o addirittura con prototipi di altri miei progetti.
Poi un giorno è venuta a trovarmi una mia amica curatrice e, quando li ha visti, ha notato che alla base c’era un senso di continuità.
Così, un anno dopo l’inizio, ho cominciato a capire che potevano veramente funzionare insieme e abbandonando pian piano la matrice di ricerca libera, ho cominciato a visualizzare Timemade come un progetto unico.

Come si manifesta la dimensione temporale nei pezzi di Timemade?

Si sa che a questo mondo il più grande lusso è il tempo, nasce tutto da questa grande verità. E in Timemade il tempo si declina in molti modi.
Si tratta di oggetti  che hanno richiesto tempi di lavorazione molto lunghi e articolati e mi hanno permesso di testare i limiti del materiale senza mai forzarlo, rispettandone la natura e le proprietà per minimizzare gli sprechi.
Oggi si parla di sostenibilità, ma mio zio falegname l’avrebbe semplicemente chiamata: “Fare le cose come vanno fatte”. Infine, sapete quanto tempo ci vuole per ricavare una tavola di legno delle mie da un albero di noce? Almeno 20 anni!

Quindi la scelta del legno non è per niente casuale. Cosa ti affascina di questo materiale?

La mia famiglia lavora il legno dal 1838, mio padre mi fece prima odiare e poi appassionare alla professione quando da ragazzino mi fece lavorare in segheria per potermi permettere il motorino. Il legno è l’unico materiale che non muore mai, mantenendo intatte le sue caratteristiche che lo portano a cambiare nel corso del tempo, dilatandosi o torcendosi. I pezzi non sono trattati e questo li rende ricettivi ad ogni tipo di input esterno: i funghi, il grasso delle nostra mani, l’umidità…

In un mondo sempre più veloce, sempre più digitalizzato, tu ritorni al lavoro manuale e alla tradizione. Come mai?

Un aspetto fondamentale del progetto è che non ci sono mai state deadline, come invece accade normalmente nel mondo dell’industria e del design, dove vengono presentati continuamente nuovi prodotti. Io non sento questa esigenza e mi piace circondarmi di persone che la pensano come me.
Ogni nostro progetto è il risultato di un lungo lavoro di ricerca, test e prototipazioni.
Quindi posso dire che il mio lavoro è sempre stato caratterizzato da questo approccio, questo desiderio, questa volontà, tutti condensati perfettamente in Timemade.

La mostra è curata da un grande professionista, Marco Sammicheli.

Marco è venuto da Riviera quando abbiamo presentato la collezione, allora io non ero ancora consapevole di quello che avevo creato, temevo che la gente non ne cogliesse il significato.
Invece lui l’ha saputo leggere fin da subito e forse più di altri, coinvolgendomi nella realizzazione del progetto per il Premio Impresa e Valore assegnato da Camera di commercio Milano Monza Brianza Lodi.
Dopodiché, ha pensato che fosse arrivato il momento di presentare Timemade al mondo, a Copenaghen. Diciamo che lo considero un po’ il padrino di questo progetto.