Presentato in concorso al Milano Design Film Festival, il documentario diretto da Gianluca Vassallo offre un ritratto sfaccettato e per nulla canonico di James Wines, un esponente di punta del design ambientale e dell’architettura organica

Realizzare un documentario su un creatore di spazi confinandolo fra le quattro mura del suo appartamento.

Questo il paradosso che informa il documentario James vs Wines – The High Rise of Meanings, presentato al Milano Design Film Festival 2022, diretto da Gianluca Vassallo, prodotto da Foscarini e dedicato a un grande pensatore e umanista prima che architetto: quel James Wines che, con il gruppo interdisciplinare SITE (Sculpture In The Environment) da lui fondato all’inizio degli anni Settanta, ha creato opere effimere e geniali, in grado di intervenire sui non luoghi ai margini delle grandi metropoli statunitensi.

Periferie, autostrade, urban sprawl: luoghi anonimi e indistinguibili che hanno forgiato l’immaginario di intere generazioni di artisti, visuali (si pensi solo al Wenders di Paris, Texas) e non, a cui Wines e i SITE hanno conferito un’imprevedibile patina ‘ornamentale’, convinti com’erano che l’arte, nella società contemporanea, fosse ormai stata relegata allo status di attività decorativa.

L’orientamento scelto da Vassallo per il suo documentario è già contenuto nel titolo, in cui James è messo ‘contro’ Wines.

L’uomo James, oggi arzillo novantenne, è mostrato in un’anonima quotidianità mentre scambia facezie con la moglie Kriz (anche lei parte del team SITE); l’artista e la sua opera sono invece indagati attraverso le testimonianze di chi lo ha conosciuto e studiato: colleghi, giornalisti, scrittori, il sociologo Derrick de Kerckhove.

La formula del documentario tradizionale viene superata proprio da questa duplice modalità di racconto: perché se è vero che le interviste atte a inquadrare la figura di Wines fanno parte di un procedimento di indagine consolidato e ‘tradizionale’, le lunghe riprese dell’anziano intento a disegnare un progetto (immagine che è il vero fil rouge del film), intervallate dalle discussioni con Kriz, rappresentano un addentrarsi inedito in una personalità sfaccettata e difficilmente assimilabile.

Sono sequenze a cui Vassallo riesce a conferire un’ineffabile suspense attraverso mezzi squisitamente e puramente cinematografici e di cui si occupa personalmente: i movimenti di macchina, la musica e un montaggio precisissimo, ora disteso ora stranamente sincopato.

E che all’autore interessi più l’uomo (anche se non è affatto scontato che lo ami) che la sua opera è confermato dal fatto che i lavori di Wines – che, ricordiamolo, ha vissuto a Roma ed è entrato in contatto con i gruppi Archizoom, Superstudio, Ufo, frequentando Branzi e De Lucchi – vengano mostrati solo alla fine, a intervallare i titoli di coda e preceduti da una serie di immagini di quelle periferie suburbane a cui l’architetto ha offerto una generosa scappatoia estetica: la facciata in mattoni ‘sbucciata’ di uno dei Peeling Projects (serie di interventi commissionati ai SITE dalla catena commerciale Best Products), quello di Richmond, che rivela l’autonomia dell’involucro dal capannone a cui è stato giustapposto.

L’Indeterminate Façade di Houston, in cui il rivestimento di mattoni bianchi si estende oltre l’altezza dell’edificio, mentre alla sommità il profilo è lasciato frammentato, con i mattoni franati sulla tettoia sporgente come appena crollati; il Tilt Showroom nel Maryland, la cui facciata principale si stacca dal resto del complesso poggiando a terra su un angolo da un lato e sulla costruzione dall’altro; il Forest Building in Virginia, negozio invaso dalla foresta che lo circonda e che vi irrompe generando una frattura tra la facciata e il resto della struttura (opera che non può non ricordare il Bosco Verticale, costituendone un luminoso precedente); e il Floating McDonald’s, sublime sberleffo ‘galleggiante’ al committente, che non voleva che l’architettura archetipica del celebre fast food venisse compromessa.

E mentre di queste opere effimere, come si diceva, è ormai rimasto poco o nulla, l’uomo è ancora lì, serafico, nel suo appartamento a disegnare, magari immaginando un’ideale battaglia in cui James ha finalmente prevalso su Wines.

Cover photo: Un’immagine del novantenne James Wines, protagonista del documentario diretto da Gianluca Vassallo