Le creazioni di The Fabricant sono sempre digitali, mai fisiche. Non sprecano altro che dati e sfruttano solo l’immaginazione. Per proporre una via più etica alla moda anche nella realtà

Forse più di altri settori creativi, la moda contemporanea vive l’attuale dicotomia tra la materialità più tangibile e l’immaterialità più evanescente: la prima si esprime con una decisa riscoperta dell’artigianalità, la seconda attraverso un’incidenza sempre maggiore della comunicazione istantanea e digitale.

Tra saper fare ancestrale e video di pochi secondi che durano 24 ore, stanno nascendo figure che si propongono di conciliare, in modo quasi utopico, questi due opposti.

The Fabricant ci sta riuscendo. Si tratta di uno studio di design dedito esclusivamente alla moda digitale, ovvero tantissimo abbigliamento ma nemmeno un tessuto, ore e ore di progettazione e nessuna di confezione.

I fondatori, Kerry Murphy, Amber Jae Slooten e AdrianaHoppenbrouwer-Pereira, hanno dichiarato in molteplici occasioni che mai e poi mai realizzeranno un prodotto fisico. Sintomo di genuina tensione rivoluzionaria, puntano persino a un cambiamento di vocabolario quando suggeriscono di abbandonare la "haute couture" a favore della "thought couture", verso un’artigianalità che non sia leggera come la seta ma come il pensiero.

Chiunque abbia messo mano a un software di modellazione 3D sa quanta cura per il dettaglio sia necessaria, conosce la complessità di percorsi che richiedono continue modifiche, soluzioni creative, escamotage per andare oltre i limiti imposti dal mezzo: il fare digitale può avere dunque la stessa dignità del fare manuale.

I designer di The Fabricant non hanno la pretesa di sostituire l’abbigliamento reale con quello digitale, sono consapevoli che non ci possiamo vestire di pixel. La loro è una proposta alternativa che punta a cambiare il sistema, tanto nella forma quanto nel significato.

"Abbiamo bisogno di vestiti per proteggerci e abbiamo bisogno della moda per esprimere le nostre identità", dichiarano i fondatori. "Dato che la maggior parte delle nostre identità sono costruite in canali digitali e sociali, perché dovremmo aver bisogno di oggetti fisici per esprimerci?".

Con i suoi progetti lo studio esplora mondi possibili, in cui il vestiario può cambiare forma e aspetto quando è visto attraverso telecamere e monitor, con l’aggiunta di un risvolto etico. Infatti, con pochi oggetti reali si potrebbero ottenere innumerevoli look virtuali, garantendo maggiore possibilità espressiva ma allo stesso tempo riducendo la produzione, generando meno spreco, magari persino aumentando la qualità del prodotto fisico.

"Vediamo l’opportunità di utilizzare la tecnologia per rendere l’industria della moda più sostenibile", proseguono, "consentendo al contempo ai consumatori di esplorare le loro identità in modi nuovi e illimitati".

Tra progetti di comunicazione e prodotto, sono molte le aziende affermate che hanno scelto di lavorare con loro; tra queste Under Armour, Adidas, Puma, Off-White, Tommy Hilfiger, Vogue Singapore, Napapijri, Nicopanda e Buffalo.

Il risultato sono scarpe di fuoco, copertine animate, installazioni fisiche, concorsi dedicati ai creatori emergenti di moda digitale e, ovviamente, collezioni di NFT. Dalla collaborazione con l’artista digitale napoletana Teresa Manzo, per esempio, è nata una collezione di copricapi ispirati alla storia del costume, che prima dell’acquisto potevano essere provati grazie a un filtro Instagram.

Nella moda non si può dimenticare il red carpet, anche in veste digitale. Nel settembre 2021, in occasione del Meta Gala che ha aperto la prima Crypto Fashion Week, l’artista e transumano RUBY 9100M ha indossato un The Fabricant inedito, messo poi all’asta su SuperRare e venduto per 3 Ether, equivalenti a circa 7500 euro.

Ai progetti co-ed i designer affiancano quelli di The Fabricant Studio: chiunque ha la possibilità di creare un abito digitale che potrà essere indossato dai propri avatar nel metaverso oppure goduto attraverso filtri per i social, ma anche trasformato in NFT e messo in commercio. Ne sono già stati realizzati diverse migliaia.

La moda puramente digitale trova facile applicazione anche nell’intrattenimento e nel gaming, non a caso sempre più nel radar della moda tradizionale (Gucci e Balenciaga in primis, senza dimenticare Sunnei e GCDS).

Infatti, nel 2020 The Fabricant ha ricevuto un grant da Epic Games (quelli di Fortnite), quindi l’incarico di creare "capi di moda digitali di alta qualità" per lo store di Unreal Engine. Perché la moda di qualità esiste anche nel metaverso.

Testo di Paolo Ferrarini