Sostenibilità è una di quelle parole che si presta a malintesi pericolosi. Ma stiamo vivendo il decennio della svolta sul tema dell'ambiente e proprio per questo è giusto chiarirne il senso

Abbiamo deciso di ripensare il mondo. Forse gli anni Venti saranno ricordati per questa ragione. Intanto però il design fa sul serio e rilancia costantemente nuovi modelli culturali e produttivi con l’intento di salvare il pianeta, un progetto alla volta.

Sostenibilità è una di quelle parole che si presta a malintesi pericolosi.

Il primo riguarda un persistente e neanche troppo sofisticato modo per creare polemiche o giudizi affrettati. Esempio: la plastica come materiale demoniaco.

Il secondo, figlio del primo, riguarda la complessità del tema e l’impossibilità di formarsi un’opinione senza prima aver studiato a fondo l’intero ciclo di produzione di un prodotto, dai materiali alla logistica. Inoltre, come spiega il designer-imprenditore Maurizio Montalti (leggi qui), sostenibilità è una parola difficile persino per banali motivi psicologici. Ci costringe infatti a pensare al ciclo nascita/morte dimenticando un passaggio fondamentale e onnipresente in natura: la trasformazione.

Quello che però è chiarissimo e, tutto sommato confortante, è che siamo già sostenibili. Perlomeno ci proviamo. Perché la sostenibilità è qualcosa che si misura unicamente per paragone con ciò che già esiste. Non si può essere completamente sostenibili, ma si può senz’altro essere più sostenibili di una settimana, un mese o dieci anni fa – Odoardo Fioravanti lo spiega bene qui.

Gli anni che stiamo vivendo sono fondanti, da questo punto di vista. Le aziende vogliono fare le cose bene, nella maggior parte dei casi. Quindi si attivano per eludere le trappole della semplificazione, scommettendo sulla ricerca. Al netto di spudorate quanto inutili azioni di greewashing, l’intento è rigoroso e serio. Benché, e questo è un bene, il design non sia davvero uno dei principali fabbricatori di carbon footprint, ovvero la produzione di gas serra che caratterizza qualsiasi attività sul pianeta. In ogni caso gli anni 20 auspicabilmente saranno ricordati come il decennio in cui abbiamo riprogettato il mondo e, in questa operazione, è giusto e doveroso che il design sia in prima linea. 

Leggi qui come va evitato il greenwashing

Discorso diverso per l’architettura, che invece pare avere delle colpe più evidenti. Secondo Joseph Grima, le attività legate all’architettura sono responsabili di circa il 40% della carbon footprint. I dati sono sempre un buon punto di partenza, perché spesso descrivono realtà inaspettate. Una cosa innocente come costruire un palazzo è, in effetti, un piccolo disastro ambientale.

Nasce così l’idea di una ricerca lunga un anno alla Fondazione V-A-C al Palazzo delle Zattere di Venezia, che grazie a Space Caviar (lo studio di Grima) è dallo scorso aprile la sede di Non-Extractive Architecture: Progettare senza estinguere. Un percorso che vede coinvolti designer e architetti in residence, una mostra in progressivo allestimento, un ciclo di eventi trasversali che coinvolgono il pubblico nella diffusione dei risultati. La prima pietra è il libro omonimo, Non-extractive Architecture: On Designing Withoutedito da Sternberg Press, che attraverso le parole di ricercatori, progettisti e artisti, filosofi e economisti, segna i confini della ricerca per una nuova definizione dell’architettura. 

L’idea è di sottrarre le filiere produttive all’invisibilità, smettendo di dare per scontato che l’architettura possa esistere solo a discapito di chi subisce la sue esternalità, ovvero quei costi ambientali e economici che gravano sull’intera collettività e sul pianeta. E di cui il settore edilizio non si fa carico. Grima sostiene che ci sono alcuni antidoti pragmatici.

Innanzitutto il rifiuto di un’architettura bottom down d’ispirazione modernista, che impone un modello costruttivo e compositivo incapace di dialogare con l’ambiente e l’uomo. Poi l’invito a fare scelte consapevoli, che evocano una nuova vernacolarità e attingono alle tradizioni e ai materiali locali. Infine le università e le scuole, che hanno il compito di non alimentare idee retrive e sostanzialmente eroiche di una disciplina che oggi deve soprattutto mediare bisogni e creare reti sociali

La Fondazione V-A-C a Palazzo delle Zattere a Venezia ospita Non-Extractive Architecture: progettare senza estinguere fino a marzo 2022, con ospiti selezionati da un open-call internazionale. Gli artisti di N55 / Ion Sørvin e Till Wolfer hanno progettato un sistema di diffusione dei contenuti – chiamarlo progetto espositivo è riduttivo – con una biblioteca su ruote e una stazione di broadcasting. Perché le ricerche sono belle e importanti soprattutto quando se ne diffondono bene i risultati.

In questi giorni Interni punta l’attenzione sulle aziende che lavorano per produrre in modo sostenibile o proporre prodotti che aumentano il grado di sostenibilità funzionale. È solo una piccola parte di un paesaggio industriale in piena trasformazione, che gode di una vivacità e di una produttività da apprendisti stregoni. E in effetti siamo tutti molto giovani quando parliamo di sostenibilità. Cionondimeno l’argomento è serio: si tratta di fare molti piccoli passi, culturali e tecnologici, per proteggere il nostro unico habitat.

Lo fa ad esempio Samsung con il nuovo frigorifero Bespoken, che oltre a risparmiare energia è modulare, quindi si adatta all’evoluzione della composizione famigliare e dei bisogni dei proprietari. Lo fa Graniti Fiandre dando nuove dimensioni alle proprie superfici architettoniche in marmo, per creare meno scarto al momento della posa. Infine lo fa Arper, con un serio cycle assessment e le nuove sedia Kata e Mixu, che dichiara la composizione dei materiali per rendere i propri prodotti facilmente riciclabili.

 

Foto di apertura, installazione Teunland di Teun Zwets, designer che concentra il suo processo creativo sull’attimo, riducendo la progettazione e la produzione in un solo giorno. Gli oggetti, realizzati con diversi pezzi e materiali di scarto, in un mix di ready-made, prototipi e mock-up, celebrano la praticità e il recupero. Questo, come altri progetti nell'articolo, sono presentati nell'ambito di Isola Design Festival, evento ibrido, tra piattaforma digitale e manifestazione in presenza, della durata di 6 mesi: iniziato ad aprile, si concluderà con il FuoriSalone, dal 5 al 10 settembre 2021.