Ai Venice Innovation Days lo scorso luglio, Mario Calderini del Politecnico di Milano ha spiegato come la green economy dovrebbe evolversi per essere davvero sostenibile, non solo dal punto di vista ambientale

Abbiamo parlato molto di sostenibilità negli ultimi anni. Possiamo dire che non abbiamo fatto altro, giustamente.

Perché occorreva sistematizzare un mindset, integrarlo nella pratica progettuale. Il pericolo adesso è che la parola sostenibilità perda integrità. Finora siamo stati evangelici, da qui in poi dobbiamo preservare nel significato della parola e aggiungere senso per essere in grado di affrontare le sfide del presente in modo profondo.

Intorno a questo tema hanno lavorato e discusso i partecipanti di Venice Innovation Days a luglio del 2023. Fra startup e aziende già radicate nell’innovazione, fra giovanissimi imprenditori come Egoundesign e ingegneri maturi che si mettono al servizio della semplificazione dei nuovi device per la regolazione della temperatura ambientale e corporea come Rosso24, si è delineato un paradigma teso a un cambiamento di passo.

La controversia fra profitto e scelte sostenibili

La grande novità, lo ha spiegato bene nel suo intervento Mario Calderini del Politecnico di Milano, è la necessità di fare un po’ di autoanalisi.

Professore di Management for Sustainability and Impact della School of Management del Politecnico di Milano e direttore di Tiresia, il Centro di ricerca sulla finanza e l’innovazione sociale nel medesimo ateneo, Calderini sostiene che negli ultimi anni abbiamo praticato: “Una sostenibilità verde e semplice”, la definisce il professore di Social Innovation della School of Management dell'ateneo milanese.

Abbiamo pensato giustamente al pianeta, e non all’integrazione della parola sostenibilità in tutte le istanze, ambientali, geopolitche, sociali”. Un percorso 'facile', perché ha evitato di mettere in conflitto profitto e scelte sostenibili.

Green economy e transizione sociale sono la stessa cosa

Da qui dobbiamo ripartire per applicare delle forme più radicali di sostenibilità, che mettono chi muove le grandi risorse capitali davanti all’elefante nella stanza. Profitto e sviluppo ecologico sono concorrenti di mercato.

Quando si affrontano le questioni di impatto sociale si evidenziano forti ortogonalità negli obiettivi di impatto e profitto. Transizione verde e transizione sociale sono due ruote dentate collegate ed è evidente che una non procede senza l’altra.

Guardare ai primi vent’anni di politiche sostenibili

Secondo Calderini: “Ora si può pensare di accoppiare i due problemi, sociale e ecologico, per procedere in modo organico e radicato. Possiamo chiederci cosa è andato bene e cosa è andato male in questi anni”.

Partiamo dalle promesse mantenute: migliori soluzioni, scalabilità dell’impatto, uso della tecnologia nei progetti con un impatto microeconomico e sociale, come i sistemi che aiutano i contadini di zone fragili a fare scelte razionali, ad esempio. Cosa è andato male invece? “Abbiamo generato un sacco di innovazione senza senso.

Prendiamo i Floating Garden in Myanmar, che evitano le inondazioni dei campi coltivati. Innovazione importantissima a livello sociale, ma di nessun impatto sul profitto.

Siamo andati avanti su traiettorie di innovazione laceranti: siamo strapieni di soluzioni che risolvono micro problemi, oppure siamo stra pieni di app di food delivery.

Se vogliamo cominciare a ragionare su un tema di purpose, dobbiamo agevolare e guidare un’innovazione che si produce all’interno del mercato”.

L’innovazione non crea automaticamente sviluppo

Viene da chiedersi cosa è successo al mito dell’economia della conoscenza. Ancora una volta abbiamo passato anni a parlarne, convinti che avrebbe salvato il mondo e creato una grandissima prosperità nell’illusione che avrebbe impattato a cascata anche sulle parti sociali più fragili.

Ci siamo detti che la ricerca e l’innovazione creano automaticamente e magicamente sviluppo locale. “Può accadere, ma ci devono essere delle condizioni”, spiega Calderini.

“Abbiamo buttato via migliaia di euro imitando il modello della Silicon Valley. Un esempio è il parco scientifico di Verbano Ossola, una struttura costata 90 milioni di euro, un esercizio di grande soddisfazione architettonica. Questo progetto negli ultimi anni ha prodotto una startup, solo una, che si occupa attualmente del verde del parco. Questa condizione si è replicata mille volte”.

La conseguenza immediata è il decadimento della fiducia nella tecnologia e nello sviluppo da parte delle aree sociali più critiche. L’idea che niente davvero possa cambiare, malgrado la tecnologia, si è diffusa fra chi popola le adiacenze delle grandi strutture tecnologiche.

Servono sovrastrutture adeguate all’economia green

Continua Calderini: “L’avvento dell’economia della conoscenza ha enormemente aumentato il tasso di disuguaglianza sociale. Basta un esempio: lo sharing dei monopattini nelle città è da molti punti di vista un fallimento sociale, nonostante il servizio sia uno degli esempi più dell’economia della condivisione”.

Perché i monopattini hanno invaso la città senza una sovrastruttura etica e culturale. Creano incidenti e sono patrimonio quasi unicamente di uomini fra i 20 e i 45 anni. Il resto della città? I disabili? Gli anziani? “Sono stakeholder invisibili, che però evidenziano quanto l’innovazione sia per molti versi un po’ sociopatica”.

Un business accelerato dalla tecnologia nel contesto di una narrativa che Calderini definisce ironicamente 'evangelica e hipster'.

Nessuno si è fermato a immaginare le parti negative, a prevedere le reali ricadute sul tessuto sociale. La sostenibilità non inclusiva, per quanto possa sembrare un dettaglio, in realtà è una sostenibilità non efficiente.

Attenzione alle ricadute dell’efficientismo

Pensare all'innovazione in un mondo di scarse risorse, di differenze sociali e sostanzialmente povero dal punto di vista economico è, secondo molti, la soluzione.

“Abbiamo dato all’efficienza delle valenze positive”, spiega Mario Calderini. “Ma ecco il rovescio della medaglia: qualche mese fa una grande società di distribuzione di pasti negli ospedali a Milano chiede al Politecnico di sviluppare un algoritmo di AI per prevedere all’unità il numero di pasti da erogare giorno per giorno per internalizzare l’efficienza e per evitare sprechi.

Sembra la storia perfetta. Il Politecnico risolve il problema benissimo e prevede, più o meno all’unità, il numero di pasti da preparare. Alla fine della presentazione un signore mi batte timidamente sulla spalla e mi dice: io sono quello che portava i pasti prodotti in sovrabbondanza agli homeless della Stazione Centrale di Milano. Ora come facciamo?”

L'innovazione sociale per i macro problemi

Bisogna riconoscere che la transizione dall’inefficienza all’efficienza ha dei costi e delle ricadute che influiscono paradossalmente su sacche di positività irrinunciabili.

“L'innovazione sociale ha risolto micro problemi senza mai trovare una dimensione strutturale. È rimasta piccola e, quando è cresciuta grazie alla tecnologia, è finita in un disastro. Prendiamo l’idea di sharing: la più pura idea di innovazione sociale.

Poi pensiamo ai rider, a Uber, ad Airbnb: capiamo immediatamente che c’è un problema di governance etica”.

Sostenibilità per il profitto

Il nuovo paradigma deve essere: innovazione e sostenibilità per il profitto. È l’unico modo per creare una sostenibilità radicata, profonda.

Prosegue Calderini: “Facciamo un esempio: chiediamo a un manager di una compagnia di assicurazione se il suo brand è sostenibile. Ci guarderà soddisfatto: non stampiamo più le polizze sulla carta, abbiamo assunto moltissime donne giovani per valorizzare i talenti.

Le mie risorse finanziarie sono allocate in speculazioni benevole. Chiediamogli poi se la sua compagnia offre assicurazioni sulla vita a malati cronici…”. Ecco dove entrano in conflitto purpose e profitto.

Il passaggio all’offerta di una polizza a vita a malati cronici è il passaggio alla sostenibilità profonda che prevede intenzionalità e l’accettazione di un rischio calcolato, perché in realtà proprio la tecnologia medica contiene soluzioni praticabili. Con i nuovi device e i nuovi screening medici i malati cronici sono assicurabili come qualsiasi altro cliente.

Innovation cocooning: tecnologia nell’impresa che costruisce cambiamento

Insomma, dobbiamo cambiare mindset. Si parla di innovation cocooning, l'imbozzolamento della tecnologia in brand con forti contenuti etici. Soggetti che rispondono a un bisogno sociale con modelli imprenditoriali solidi e una finanza che esercita una convinta fiducia nel loro business.

In Italia sono 25mila le società che presentano queste caratteristiche. Se trasferissimo tecnologia in queste imprese per farle crescere, anche solo su una su 100, fa 250 imprese all’anno.

La probabilità di successo è enorme, così come l’accelerazione dell’innovazione. Conclude Calderini: “Un’università ci mette 100 anni a incubarne altrettante. Impariamo a ragionare, a studiare il sud del mondo e le sue soluzioni frugali e a scalarle nei paesi che producono più problemi ambientali: i nostri”.