Quella che Giampaolo Colletti lancia con il titolo del suo libro non è una provocazione, ma la prospettiva data dalla crisi dei social e la crescita dei co-creator: a patto di saper costruire contenuti autentici e informati

In principio è stato il fattore K, dalla lettera che indica le migliaia di follower e di like su Instagram.

Il fattore K è stato il jet che ha alzato al cielo il sogno di qualcuno, ma anche il macigno che ha schiacciato a terra quello di milioni di aspiranti guru.

Poi abbiamo scoperto i microinfluencer, e con loro il bello di una comunicazione social più rilassata, verticale nei contenuti e concentrata su community circoscritte.

Adesso, mentre la crisi dei social network tradizionali accompagna la nascita del cosiddetto Web 3, viviamo una fase che potremmo riassumere con il titolo di un saggio pubblicato da poco, Siamo tutti influencer di Giampaolo Colletti, uscito per Roi Edizioni.

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Che cosa vuole dirci il titolo del libro, che suona come il manifesto di una nuova opportunità diffusa, definita in contrapposizione a quello che è stato finora un sogno esclusivo, realizzato da pochi?

“Quello che sta avvenendo” spiega Colletti, giornalista del Sole 24 Ore e tra i principali esperti italiani di marketing e comunicazione, “è uno spostamento dal concetto di narrazione verso quello di co-creazione.

È una nuova fase, sia per Internet sia per i social, che vede emergere figure specializzate, meno generaliste e più tematiche.

Per dirla con un’esperta come Ashley Fell, le nuove generazioni sono cresciute con una tecnologia reattiva che non chiede più di consumare passivamente. Per questo è il momento di piattaforme come Tik Tok, Minecraft e Roblox, che hanno definito gli utenti come co-creator attivi”.

Se da un lato questo fenomeno appare democratico, perché investe potenzialmente chiunque di un ruolo di narratore, dall’altro premia chi sa costruire un racconto con due prerogative essenziali: l’autenticità e la competenza.

“Di questo fenomeno” spiega Colletti “ha scritto anche un grande esperto come Seth Godin: le nicchie di consumatori suddivise in tribù e sottotribù, se interpellate, diventano la chiave per aprire nuovi business.

La forza di queste nicchie si materializza proprio grazie ai nuovi attori in campo, che sono appunto i creator”.

La nicchia, fuori dal mare generalista in cui i contenuti dei social di prima generazione si perdono e non arrivano più, diventa il competitor impersonale che sta dando più filo da torcere a chi, fino a poco tempo fa, era il re incontrastato dei social media, ovvero Mark Zuckerberg con il suo regno Meta.

I protagonisti di questo mondo rinnovato costruiscono spesso la propria identità in contrapposizione agli attori del mondo passato. “Prendiamo Poparazzi. La app dei fratelli Alex e Austem Ma contro i selfie ritoccati si autodefinisce l’anti-Instagram e ha debuttato con un post che è tutto un programma: la vita reale delle persone è fatta soprattutto di momenti imperfetti che meritano anche di essere catturati e condivisi”.

Ma ci sono anche il caso dello scrittore di maggior successo sulla piattaforma di newsletter a pagamento, Substack, che guadagna più di 500 mila dollari all'anno dagli abbonamenti dei lettori, il miglior creator su Podia, piattaforma per corsi video e abbonamenti digitali, che arriva a oltre 100 mila dollari al mese.

Negli Usa, invece, gli insegnanti stanno guadagnando migliaia di dollari al mese con le loro lezioni virtuali dal vivo su Outschool e Juni Learning. “È la cosiddetta economia della passione” spiega Colletti, “così l’ha definita Li Jin, business angel e fondatrice di Atelier Ventures”.

Nel nuovo panorama dei creator, la rete vede crescere la sua forza perché si parcellizza e concentra su contenuti specifici, generando opportunità per contesti particolari, in cui premiano serietà e competenza.

“È un fenomeno” aggiunge Colletti “che potremmo definire del potere editoriale diffuso, la nuova tappa della disintermediazione avviata dai social: mentre la crisi di questi ultimi accelera, a imporsi è la cosiddetta coda lunga dei contenuti”.

A patto di averli, ovviamente.

“Questo vuol dire che per ogni nicchia può esistere un contenuto interessante, e che per ogni nicchia si può diventare il punto di riferimento che mancava, anche perché il più delle volte sono gli stessi creator a definire il perimetro delle community e, dunque, a costruirle”.

Colletti ne è convinto: “Siamo davanti a una rivoluzione copernicana che ridefinisce linguaggi, formati, canali, regole di coinvolgimento, tanto che un colosso come Blackrock ha parlato di una seconda nascita di Internet.

Un fenomeno che riscrive le dinamiche del gioco legate ai consumi e alla socialità.

Così il miglior prodotto o servizio – ma anche la migliore campagna mai realizzata – potrebbe arrivare oggi da un cliente qualsiasi e non da un manager a libro paga di un’azienda o di un’agenzia.

Stiamo passando dagli effetti speciali agli affetti speciali, che vuoi dire costruire una relazione costante con la comunità dando qualcosa in più. La vera sfida è che bisogna saperlo fare”.