Dietro la nascita del Made in Italy c'è una donna, Rosa Genoni: la stilista che, attingendo dall'arte classica e dalla sartorialità artigianale, ha portato alla ribalta lo stile italiano promuovendo una trasformazione radicale del lavoro e del contributo delle donne

Uno dei segreti meglio custoditi della moda italiana è la storia di Rosa Genoni.

La sua sempre crescente fortuna critica viene supportata da un prezioso e ricco archivio e da ottime pubblicazioni, ma sempre di più la sua fama sta superando i confini dell’accademia.

Parlano per lei le sue vicende personali, i valori per i quali ha combattuto, gli obiettivi raggiunti, grazie a cui si delinea come una vera pioniera del design della moda italiana, una moda che nella sua visione si sarebbe dovuta basare su una trasformazione radicale del lavoro e del contributo delle donne.

Nata nel 1867 a Tirano, dalla Valtellina arriva a Milano per studiare e iniziare l’apprendistato nella sartoria della zia.

I suoi viaggi di studio e di lavoro la porteranno a Parigi, Bruxelles e Londra, dove respirerà l’Europa e assorbirà esperienze e conoscenze che metterà a frutto in Italia.

La sua insaziabile fame di conoscenza è stata parti al suo desiderio di mettere a frutto quanto raccolto. Lo ha fatto attraverso la direzione artistica di un atelier di oltre 200 lavoratrici, con il disegno di moda, con l’organizzazione di esposizioni, con l’insegnamento, il giornalismo, senza dimenticare l’attivismo sociale, il femminismo, il lavoro con le cooperative di lavoratrici, il sostegno attivo dei profughi di guerra, le idee socialiste e pacifiste.

Fin dalla sua formazione a bottega la sua passione si concentra attorno alla scoperta dei processi, dei metodi produttivi, delle logiche proprie di quelli che lei stessa definisce 'ambienti di lavoro'.

Il suo obiettivo dichiarato non era il recupero nostalgico di un passato glorioso, anzi, un profondo desiderio di affrancare la moda italiana dalla sudditanza dalla moda francese, per renderla una moda indipendente sul piano produttivo e culturale.

Ricordiamo che tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 un abito, un cappello, una borsa, una scarpa non avevano senso se non erano una derivazione (o una riproduzione pedissequa) dell’idea di un couturier parigino. Un concetto quale 'moda italiana' a cavallo del secolo suonava più o meno come pensare oggi a uno 'smartphone italiano'. Possibile, certo, comunque piuttosto improbabile.

Ma Rosa Genoni aveva un progetto concreto.

Conosceva bene la moda francese di Nizza e Parigi, aveva lavorato a Bruxelles, frequentato Londra e la Svizzera. Sapeva dove trovare materie prime, pizzi e ricami. Conosceva e reclutava ottima manodopera e capiva l’importanza della formazione (per anni dirigerà la sezione Sartoria della Scuola della Società Umanitaria di Milano), dei libri di testo (ne completerà due) e del contributo della stampa (scriverà per diverse riviste di moda e politica).

Sicuramente non era interessata a importare modelli altrui, anzi, puntava a definire sistemi originali che potessero definire un nuovo modo di fare e di pensare.

Per questo ha promosso il lavoro cooperativo delle Industrie Femminili Italiane, nella speranza che la filiera italiana potesse affrancarsi dal dernier cri parigino e dare vita al Made in Italy, un termine che in quegli anni si iniziava a utilizzare per definire un nuovo modo di vedere - e di far vedere - il design italiano.

Per Rosa Genoni, dunque, la moda non si riduceva a un manufatto, ma era l’incarnazione di un processo, di una filiera, di un sistema, a costituire un organismo complesso che poteva crescere, diventare forte e indipendente: un genuino atto di design. Il suo contributo è stato fondamentale e duraturo anche perché in questa visione ha saputo coniugare con caparbietà ricerca, processi, impresa, comunicazione e didattica.

Secondo Manuela Soldi - autrice del fondamentale volume “Rosa Genoni: moda e politica” – è proprio quest’ultima la più importante area di lavoro di Genoni: “Senza dubbio, il lascito di maggiore della sua attività multidisciplinare è stato quello di docente. Un’azione che ha attraversato i primi tre decenni del Novecento e ha formato diverse generazioni di maestranze ad essere “sarte superiori” come le definiva lei, quelle capaci di lavorare sul modello andando oltre il ruolo di mera copista esecutrice”.

Rispetto al design industriale, proprio per la sua natura ancora fortemente artigianale, la moda nostrana stentava a imporsi come disciplina autonoma e dotata di un’identità riconoscibile. Ma sono gli anni delle grandi esposizioni universali e Rosa Genoni ha la possibilità di mostrare alcune sue creazioni all’interno dell’Esposizione Internazionale del Sempione nel 1906.

La sua scelta ricade su modelli ispirati alla tradizione artistica italiana rinascimentale, nell’ottica riscatto nei confronti della moda francese.

In quegli anni lavorava come première presso il noto atelier H. Haardt & Figli di Milano, ma i suoi datori di rifiutano un coinvolgimento nell’operazione per paura che i fornitori francesi possano sentirsi offesi. Per questo Rosa Genoni si autofinanzia e fa realizzare i capi a casa sua, firmando il suo lavoro col suo nome e cognome.

Partire dalle suggestioni della pittura del passato non è una novità, ma nel suo caso il passo avanti si trova nell’idea di partire dalla tradizione nazionale per proporre un nuovo punto di vista e allo stesso tempo costruire il futuro di un intero settore.

Non vuole fare costume, non realizza pure e semplici copie di quanto ritrova in gallerie e pinacoteche, anzi, ne attualizza forme e proporzioni, le allinea alle esigenze contemporanee, mette al centro comfort e performance, a dimostrazione che il passato è un serbatoio, non una scorciatoia.

Nel suo libro Manuela Soldi fa notare che molto spesso le ispirazioni iniziali (Pisanello, Mantegna, Botticelli, Leonardo, Carpaccio) si perdono e ne risulta un linguaggio tutto nuovo, originale e unico.

E siamo di fronte a un processo progettuale che la avvicina ai grandi maestri del design italiano, quelli che nella prima metà del ’900 hanno traghettato il Made in Italy da una visione vernacolare alla maturità che ci ha collocato il Bel Paese al centro del mondo.

In ambito moda, non è un caso che questo stesso metodo di recupero e rilancio sia ripreso nel 1951 da Giovanni Battista Giorgini per la prima sfilata di Villa Torrigiani a Firenze, preludio agli eventi della Sala Bianca di Palazzo Pitti, per molti il vero inizio della moda italiana.

Vale la pena sottolineare che questo filone è ancora attivo e che in tempi più recenti anche Dolce&Gabbana e Gucci (negli anni di Alessandro Michele) si sono imposti nell’immaginario e nei mercati basandosi su un sapiente equilibrio di citazionismo e linguaggio contemporaneo.

Quindi possiamo considerare Rosa Genoni una pioniera del design italiano per come lo conosciamo oggi?

“Sono tanti gli aspetti di contemporaneità di una figura come Rosa Genoni – conclude Manuela Soldi - in primis la consapevolezza dell’importanza del rapporto con le filiere produttive, che la vedono impegnata nel dialogo più o meno fruttuoso con i produttori dei semilavorati necessari per la moda, nel tentativo di costruire un embrionale sistema”.

E proprio in un’ottica di sistema, sono ancora tante le cose che Rosa Genoni può dirci, soprattutto grazie alla sua capacità di armonizzare ognuno degli ambiti che ha toccato, studiato, approfondito, trasformato e definito.

Dallo stile all’educazione, dai processi al modo di comunicarli, siamo certi che negli anni la riconoscenza degli addetti ai lavori si trasformerà in sempre maggiore riconoscimento da parte di chiunque ami il bello e il design.