Ridurre l’impatto ambientale delle grandi fiere non è più un’opzione o un’occasione di comunicazione, ma una necessità urgente: ecco come è stata affrontata al Salone del Mobile 2022

Eravamo abituati agli stand pensati come piccole città, alle architetture mozzafiato, alle esperienze interattive. Invece il Salone del Mobile 2022 ha segnato un cambio di passo. Le opere mastodontiche non sono mancate. Ma tante aziende hanno optato per allestimenti meno scenografici, in grado di dare slancio ai prodotti ma anche all’attenzione all’ambiente. Merito di una sensibilità più diffusa sulle tematiche relative alla sostenibilità ma anche delle iniziative prese dal Salone stesso.

Muoversi dal basso

“Per cambiare le cose in modo sostanziale”, ci ha spiegato la presidente Maria Porro, “bisogna avere il supporto della maggioranza. Ci siamo quindi mossi con un approccio dal basso, senza imporre nulla ma dando tanti strumenti alle aziende per lavorare in modo più sostenibile e basandoci anche su quanto imparato al Supersalone del 2021. Ci siamo confrontati con gli allestitori più importanti e, insieme a loro, abbiamo definito delle linee guida su materiali, logistica, catering, illuminazione, tessuti. Queste linee guida sono state distribuite a tutti i marchi che hanno partecipato al Salone 2022: non avevano l’obbligo di seguirle ma in tantissimi l’hanno fatto. Valuteremo poi l’esperienza per capire come procedere in futuro”.

Una Good House sostenibile

Campione, in questo senso, è stato Lago, che ha progettato insieme a Henoto (azienda specializzata in allestimenti fieristici a basso impatto) uno stand, emblematicamente chiamato Good House, che prevede un utilizzo pluriennale e garantisce di evitare fino all’87% delle emissioni di gas serra (come la CO2) in atmosfera rispetto ai tradizionali stand sviluppati per eventi fieristici, grazie all’azzeramento dei rifiuti e al quasi totale abbattimento di peso e di volumi dei materiali. La chiave di volta per arrivare a tale risultato è stata l’utilizzo di un pannello chiamato CoverUp realizzato da Henoto. Si tratta di un telaio in alluminio che viene trasportato smontato, al quale viene applicata una grafica stampata su tessuto, anch’essa derivata da materiali riciclabili. CoverUp garantisce il riutilizzo delle strutture per almeno 100 cicli, al termine dei quali il 100% dei materiali impiegati viene riciclato. Il risultato, rispetto a un tradizionale pannello in legno, tamburato o plastica, è sorprendente: 10kg di peso e 0.02 metri cubi di volume rispetto a 40kg e 0,12 metri cubi. E, ovviamente, un ridottissimo impatto in termini di trasporto e stoccaggio. “Abbiamo applicato la metodologia del Life Cycle Assessment”, spiega l’AD Daniele Lago, “quindi considerato la riduzione delle emissioni lungo tutto il ciclo di vita dello stand. Ci siamo affidati, in questo a una ricerca avviata nel 2014 e sviluppata nel 2020 da Spinlife, spin off dell’Università di Padova condotta dal professor Alessandro Manzardo.

Riciclabilità o riuso?

Progettare pensando al Life Cycle Assessment, quindi all’impatto di tutte le azioni legate alla produzione di un allestimento dal concept al fine vita, è fondamentale”, dicono Simone Farresin e Andrea Trimarchi di Formafantasma: il loro studio è attivissimo sul fronte ambientale e firma importanti allestimenti in tutto il mondo (tra cui quello della Biennale d’Arte di Venezia 2022). “Tutti vogliono creare stand a minore impatto ambientale ma spesso ci si concentra erroneamente sulla riciclabilità degli elementi – che comunque ha un costo ecologico elevato – piuttosto che sul loro riuso. Il motivo è semplice: per riutilizzare uno stand o un allestimento bisogna avere già ben chiaro come reinterpretarlo nelle edizioni a venire. È quindi necessario progettarlo nel modo più aperto possibile. Che non è semplice”.

Logiche a lungo termine

Concorda Roberto Monti, AD di Arper, altra azienda che, da anni, è proiettata verso un approccio circolare alla produzione e che considera sempre il Life Cycle Assessment a tutti i livelli. Anche quando si parla di esposizioni fieristiche. “Per essere seri su queste tematiche è necessario infiltrare le logiche dell’economia circolare in ogni decisione che si prende. Non è semplice e si procede per piccoli passi, ragionando sul lungo termine. Concretamente, quando si parla di stand, serve avere un’idea chiara non solo di come ci si presenta in una singola fiera ma anche di come lo si farà nei mesi e anni successivi e in giro per il mondo”, spiega. “All’interno di una logica a lungo termine, che considera tutti i mezzi e i touchpoint del brand, è possibile sviluppare un concept con una creatività e materiali adatti al riutilizzo. Non è semplice e non tutti lo fanno. Va detto che, se ci si concentra su una presenza one-off, almeno bisognerebbe optare per materiali riciclabili: l’impatto è ovviamente molto più importante rispetto a quelli riutilizzabili ma al giorno d’oggi è il minimo”.

I costi di uno stand

Per l’ultima edizione del Salone del Mobile, Calvi Brambilla (architetti e design curator di Flos) hanno disegnato gli stand di Zanotta, Pedrali, Desalto, Janus et Cie, Olivari, antoniolupi e Quadro. “Abbiamo constatato che, in media, il 40% del costo di uno stand è formato da materiali a noleggio, il 30% da materiali riciclabili come il legno, il 20% da manodopera e trasporti, e infine il 10% da materiali non recuperabili. Questi ultimi sono soprattutto finiture superficiali e grafiche, a cui è difficile rinunciare”.

La via del noleggio

Il noleggio è un’altra strategia interessante per ridurre l’impatto ambientale di uno stand fieristico. E in questo è fondamentale la collaborazione e l’impegno della fiera stessa che, nel caso del Salone, c’è ed è forte. “La parte di allestimento che viene noleggiata tipicamente è composta da strutture (travi americane, pedane, soppalchi, scale) e da tecnologie (apparecchi illuminanti, monitor, casse acustiche, proiettori)”, spiegano i due progettisti. “Questi elementi di solito sono conservati in depositi nei pressi della fiera stessa e vengono utilizzati molte volte durante l’anno, non solo per il Salone. Nel bilancio di sostenibilità bisogna tenere presente anche lo spreco di energia e carburante dei trasporti, pertanto è bene che questi depositi siano vicini alle strutture fieristiche. Alcune aziende con buone disponibilità economiche hanno investito in strutture molto costose che vengono usate tutti gli anni, e che ovviamente giacciono in un deposito per undici mesi su dodici, ma sono comunque sostenibili”.

CO2 e Global warming

Ridurre l’impatto ambientale degli stand fieristici non è una questione di lana caprina, dice il professor Alessandro Manzardo, responsabile di Spinlife, lo spin off dell’Università di Padova che ha fornito a Lago ricerche e strumenti di controllo per la realizzazione di The Good House. “Se tutti gli stand del mondo venissero realizzati con l’approccio di The Good House si potrebbero evitare fino a 239.982 tonnellate di CO2 in atmosfera. Considerando che una famiglia media italiana di quattro persone consuma circa 3.000 kWh di energia elettrica all’anno e che l’impatto associato a tale consumo in termini di global warming equivale a 1248 kg CO2e, 239.982 tonnellate di CO2e equivalgono al consumo annuale di 192.293 famiglie medie italiane”.

Creatività e costi sono inconciliabili?

Secondo Calvi Brambilla, la strada scelta dal Salone e indicata da Maria Porro è quella giusta ma forse è ancora troppo soft. “Non esiste altro metodo se non imporre una regolamentazione molto stringente”, dicono, “basata su una lista di materiali consentiti e vietati. Tutti i fornitori e subfornitori dovrebbero dimostrare l’origine dei materiali e i metodi di produzione. È chiaro che la creatività verrebbe fortemente limitata e i costi aumenterebbero, ma dobbiamo essere consapevoli che questo passo è ormai necessario”.