Secondo il media artist (attualmente a Milano e a Venezia con due installazioni) l'Intelligenza Artificiale può diventare un linguaggio universale, come l'arte. E, se usata bene, portare il pubblico a percepire nuove dimensioni dell’amore e dell’inclusione. “Perché sia la speranza a essere augmented”

Qual è la materia prima dell’artista? Una tela, delle materie plastiche, dei pigmenti? Nel caso di Refik Anadol, 36enne turco, autore di installazioni mozzafiato in tutto il mondo, sono i dati. Immensi, complessi, trilioni di informazioni digitali con cui interagire e immaginare scenari inediti. 

Refik Anadol plasma l’infosfera con il machine learning per far dialogare il mondo virtuale con lo spazio fisico. Per lui la tecnologia non è solo performance e possibilità (di fare, realizzare, analizzare) ma soprattutto espressione e creatività (personale ma allo stesso tempo universale). Di questo scarto, tra macchina e uomo, tra numeri e colori, siamo riusciti a chiacchierare con lui grazie alla sua recente visita in Italia dove è presente con due grandi opere: Renaissance Dream al Meet Digital Culture Center di Milano (fino a fine luglio) e Sense of Space alla Biennale di Venezia.

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Entriamo nell’universo dei Data, cosa rappresentano nella tua ricerca?

Il nostro è un secolo di massivi scambi tra macchine, algoritmi e dati generati costantemente. I dati per me sono pattern per dare forma a nuove realtà, strumenti per mettere in relazione scienza, arte, storia. Quando lavoro con l’Artificial Intelligence mi chiedo “può una macchina sognare? Avere allucinazioni?”. Non credo nei tabù e negli schemi predefiniti di cosa voglia dire fare arte o architettura: mi interessa la capacità umana di immaginare, in relazione con una memoria globale e infinita

Come nasce un'opera co-creata tra uomo e macchina? E quanto input ha l'artista nella generazione della sua estetica?

Non credo particolarmente nelle definizioni, in fondo molti dei grandi pensatori non hanno tracciato un confine netto tra arte e scienza. L’AI mi dà la possibilità di generare un linguaggio universale e di imparare. Quando fai ricerca con l’intelligenza artificiale hai accesso a ogni singolo dipinto, ogni singola scultura mai creata, ogni parola della letteratura. Quindi per me l’input è iniziare da questa mole di informazioni, computare domande e imparare dai nuovi scenari generati dall’AI. Renaissance Dreams, per esempio, è un’installazione generata a partire da un milione di immagini e testi prodotti tra il 1300 e il 1600 in Italia. I dati sono stati elaborati dall’intelligenza artificiale per mezzo di algoritmi GAN, capaci di identificare caratteristiche comuni e produrre creazioni, per così dire, “originali”. Il risultato è una composizione di forme multidimensionali dinamiche a cui l’AI ha attribuito volumi e colori nuovi e associato un sound design

La macchina è quindi una tua compagna di lavoro? Artista quanto te?

L’AI è il mio pennello pensante. Molto di ciò che i computer hanno generato è stata una sorpresa: la coscienza della macchina è generativaCon questo non voglio dire che ignoro i risvolti critici dei nuovi media. Le machine sono un nostro specchio, chiunque siamo lo riflettono, qualunque siano le domande ci rispondono. Siamo noi i responsabili dell’uso che vogliamo farneIo voglio concentrarmi su ciò che possiamo fare di buono: può l’AI aiutarci a privilegiare le diversità invece che l’individualismo? Possiamo ricordare o imparare meglio? Credo che pensare negativo sia molto più semplice che essere ottimisti.

Altro aspetto che traspare è che la nuova figura dell’artista è più collettiva che solitaria. Un’opera nasce dalla co-creazione con la macchina ma anche dalla collaborazione.

Compiere un viaggio attraverso qualcosa che ancora non esiste richiede una squadra. Io penso al mio lavoro come alla direzione di un film: collaboro con menti intellettualmente, linguisticamente e culturalmente diverse. E questo non arricchisce solo il processo creativo ma mi avvicina al sogno di realizzare un’arte che possa raggiungere tutti: tutte le età, tutte le origini e i background. Non puoi portare avanti un sogno così in modo egocentrico. Collaborare è la chiave per sbloccare questo linguaggio inclusivo.  

Il tuo lavoro dà una nuova dimensione al concetto di “costruire”. Qual è il tuo rapporto con lo spazio?

Noi siamo architetti di percezioni, vogliamo progettare e costruire culture, coscienze, emozioni. Non voglio semplicemente integrare i media in forme costruite, voglio tradurre la logica di una nuova tecnologia in progettazione spaziale. Mi muovo poi su due livelli: arte pubblica e installazioni immersive. L’arte pubblica è un’azione democratica: non c’è porta d’ingresso, non c’è fine o inizio, tutti possono fruirne. Negli spazi interni ciò che ricerco è un’esperienza di storytelling immersivo – non a caso, un libro che continua a ispirarmi è Expanded Cinema di Gene Youngblood. L’AI riesce a guardare lo spazio a 1024 dimensioni: io voglio mettere il pubblico dentro l’opera e fargli percepire l’invisibile.

Con Pladis: Data Universe hai sondato i dataset open source della NASA, con Quantum Memories hai dato forma all'intersezione tra gli esperimenti di Google AI Quantum Supremacy, il machine learning e l'estetica della probabilità. Alla Biennale crei un ponte tra strutture biologiche, neuronali e lo spazio architettonico. Quali saranno i tuoi futuri prossimi?

Per me la domanda cruciale è se l’arte può curare le persone. Il lavoro iniziato per la Biennale ha coinvolto numerosi scienziati – in particolare Dr. Gökhan S. Hotamislig direttore del Sabri Ülker Center for Metabolic Research di Harvard ed esperto nelle basi molecolari e genetiche delle malattie metaboliche. Nei prossimi mesi continueremo il lavoro di analisi degli oltre 70 Terabyte di risonanze magnetiche ai cervelli di persone dalla nascita ai nonagenari. Io spero che l’unione tra arte e scienza aiuti a capire meglio le malattie: l’alzheimer, la depressione, la demenza. Io spero che si possano creare esperienze che portino il pubblico a percepire nuove dimensioni dell’amore e dell’inclusione. Nel futuro prossimo vorrei rendere augmented la speranza