Rendere concreta una visione condivisa – concept del “Cinema Galleggiante” nella laguna veneziana – materializza uno dei diversi, illuminati e illuminanti ma soprattutto utili, suggerimenti del saggio “Post social media era”. Vi spieghiamo quali

Fare (R)ete. E per farlo servono le persone, non gli algoritmi.

Guarire dalla FOMO (Fear of Missing Out), quellansia da dipendenza, quella paura di restare esclusi dalle interazioni social, senza arrivare a un approccio eccessivamente edonistico, evangelizzando a un ricongiungimento con la natura, ma riportando i social ad essere strumenti, dei mezzi che possono essere utilizzati in modo utile e sano o meno. Sta a noi, arginare la possibilità di cadere nel rumore della sovrapproduzione di contenuti e stimoli che ci affanna”.

Questo, e moltissimo altro, si evince dall’interessante saggio Post social media era - Costruire community, relazionarsi e fare business oltre lalgoritmo scritto da Cristiano Carriero e Sebastiano Zanolli, con i contributi di diversi esperti del settore, edito di recente da Hoelpi.

E a fare rete, letteralmente, invita Cinema Galleggiante – Acque Sconosciute, un insediamento anfibio tra acqua e terra, tra reale e irreale, tra analogico e virtuale, che si svolge sulle acque della laguna di Venezia dal 25 agosto al 10 settembre 2022.

Un cinema galleggiante per rendere concreta una visione condivisa

Nato con l’intento di rendere concreta una visione condivisa Cinema Galleggiante – Acque Sconosciute, progetto di Edoardo Aruta e Paolo Rosso presentato da Microclima con, tra gli altri partner, Fondazione In Between Art Film, propone film, video, performance musicali e teatrali che coinvolgono autrici e autori sia internazionali sia locali, presentati su un palcoscenico e uno schermo nelle acque lagunari retrostanti l’isola della Giudecca, all’altezza del Rio de Sant’Eufemia. Il pubblico può accedere e assistere alla programmazione dalle proprie imbarcazioni ma anche da una piattaforma, pensata per ospitare gli spettatori senza barca.

Tra terra e mare, reale e irreale, innesca un incanto collettivo

La terza edizione della rassegna ha come tema il surreale, le visioni oniriche e allucinatorie, l’assurdo. Questa ricerca del paradosso trova fondamento nella natura di Cinema Galleggiante – Acque Sconosciute, dove, in un contesto fluttuante che tende all’irreale, il primo intento è quello di innescare un incanto collettivo nell’orizzonte lagunare. La programmazione di quest’anno vuole quindi essere un’eco di questo meccanismo e amplificare la percezione che oltrepassa l’ordinario.

Un progetto culturale, dunque, di condivisione fisica, basato sulla tecnologia sì, ma una tecnologia novecentesca, dallallure analogica. Un progetto reale ma che rimanda a un mondo altro. Un invito a dosare e confinare la sovraesposizione ai social, senza cadere in facili cliché come il detox digitale, perché la realtà è molto più articolata di quanto sembra. Disconnettersi completamente non pare la soluzione. La capacità richiesta è quella di (saper) selezionare.

Anche perché, a proposito di utilità del mezzo, è necessaria la prenotazione, sia per barche private che per pubblico a piedi. E lo si può fare dal sito cinemagalleggiante.it, su cui si trova il programma dettagliato della rassegna, a partire da martedì 16 agosto.

Selezionare luoghi di incontro e di confronto

Il libro racconta, appunto, la Post Social Media Era, spiegando come i social, potente mezzo di comunicazione nelle mani di chiunque abbia uno smartphone, si siano evoluti, allargati dallambito privato a quello pubblico, di come abbiano invaso la vita, la concentrazione e la privacy di tutti.

Non per questo appartengono al passato, devono però essere ridimensionati, ripensati nelluso, a partire da noi stessi, soprattutto nellottica di scambi allinterno di membership platform, community partecipative, attendibili e accessibili soltanto a chi ne diventa membro, solitamente attraverso un abbonamento, in cui concentrare e dedicarsi in modo proficuo agli interessi reali, senza notifiche disturbanti, senza disperdersi nel mare magnum del web.

Soffermandosi in particolare sul capitolo Quando troppo è troppo troviamo numerosi spunti di riflessione legati alla vita quotidiana, privata e lavorativa, di tutti o quasi, partendo da un punto fermo: per non essere travolti dai contenuti digitali è indispensabile ridurre il tempo trascorso sui social media ma soprattutto selezionare luoghi di incontro e di confronto.

 

 

La produttività cannibalizzante

Come è cambiato il lavoro intellettuale, soprattutto dopo la pandemia che ha portato il lavoro da remoto quindi in casa, invadendo ogni spazio privato ad essere pratica consueta?

La rincorsa a essere produttivi che si è impossessata di ogni frattaglia del nostro tempo è molto difficile da arginare”. Questo porta alla rincorsa allessere sempre più performanti, al workaholism, produrre output in maniera esponenziale, fino al collasso.

Nuove cattive pratiche (...) che non tengono più conto di dove finisca la vita professionale, fagocitano lentamente ma mi mica tanto quella personale, innescando il tormento psicologico che si possa fare sempre di più, persino dal divano di casa”.

La soluzione? Un atlante delle distrazioni contemporanee, come quelle proposte dal libro Come annoiarsi meglio di Pietro Minto, Blackie Edizioni, una serie di consigli pratici per riprendere il controllo del proprio tempo libero. Perché ciascuno di noi deve concedersi momenti della giornata in cui non sentirsi chiamato a fare qualcosa.

Lattenzione frammentata

I social hanno un primato assoluto: frammentano lattenzione “sono incubatori capaci di intrappolarla a lungo, e ricomporla richiede uno sforzo che non sempre siamo disposti a concederci”.

Dipendenza e sottrazione, di tempo, di concentrazione e quindi di efficacia. Non solo in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi. L’uso eccessivo dei social non permette di approfondire. Troppe notifiche, troppe distrazioni, troppa fretta di monitorare tutto e tutti, di esserci, di non rimanere tagliati fuori.

Come è successo il 4 ottobre 2021, quando per alcune piattaforme si è registrato il secondo black-out più lungo da quando sono state lanciate. Sette ore soltanto di sospensione hanno generato numerose riflessioni.

 

Il concetto di altro...

Come si sentono le persone durante un oscuramento prolungato ma comunque passeggero dei social?

Il sentimento non è stato chiaramente univoco (...). Ma in filigrana alle risposte di chi ha raccontato come ha riempito il vuoto creato dal down, cera una parola identitaria che, come un filo rosso, lega le reazioni degli utenti al tema di questo libro: il concetto di altro. In quelle sette ore di black-out si sono semplicemente occupati daltro, rivedendo il concetto di urgenza, rendendosi realmente conto della necessità di arginare e contenere la vita lavorativa.

... ma la paura è perdere le tracce

Sembrerebbe dunque una sorta di epifania collettiva, ma non è così. La consolazione per quellinattività era data dalla consapevolezza che anche gli altri non avrebbero potuto essere lì dove laccesso era vietato. In pratica, nessuno si stava perdendo niente, e allora andava bene così”.

La FOMO non si risolve in un desiderio di scambio, ma nel bisogno tormentato di tenere costantemente traccia di ciò che viene pubblicato dagli altri”.

Riportare i social ad essere strumenti

Tutto dipende dallutilizzo che se ne fa. “Di per sé i social possono essere usati per ispirare il cambiamento, per produrre valore sociale o economico, allo stesso modo in cui possono essere impiegati per danneggiare, creare disinformazione o veicolare storature di ogni categoria”.

Se è schiacciante la sensazione di ansia da prestazione (...) e sono poche le cose che ci folgorano durante lo scrolling” è perché va ripensata la centralità che abbiamo attributo ai social nelle nostre vite. “Ripensare al mezzo come strumento può essere determinate per raggiungere una maggiore autonomia fisica e mentale”.

 

Partire per ricominciare

L’overload informativo sembra porci di fronte a un bivio: soccombere o allontanarci”. Ma il logout non è la soluzione. La realtà nella quale ci immergiamo è ben più sfaccettata, complessa e quindi sfuggevole”.

Non ci sono ricette e soluzioni pronte, c’è lequilibrio, c’è la salute, fisica e mentale, c’è il buonsenso. C’è il bisogno, quello sicuramente, di non sentirsi più intrappolati nella Rete.

Tra troppo e niente esiste una zona di compromesso dove smettiamo di essere travolti, e iniziamo a muoverci consapevolezza”.