La scelta di parlare di gusto e nutrimento non è casuale, il foraging è infatti l’arte di riconoscere le piante spontanee commestibili per gli esseri umani.
Valeria Margherita Mosca è tra le massime esperte in Italia, mescolando a questa antica disciplina conoscenze gastronomiche e antropologiche. L’abbiamo intervistata per chiederle di guidarci alla scoperta di una conoscenza antica e di come l’essere umano possa creare una sinergia con la natura.
Partiamo dal principio: cos’è il foraging?
Da vocabolario la definizione è “l’attività di andare a raccogliere vegetali adatti al nutrimento umano in luoghi incontaminati e selvatici”.
Il foraging è stata da sempre un’attitudine umana: in tutta la sua evoluzione il genere umano sapeva raccogliere gli elementi di cui nutrirsi con una varietà che ha iniziato a ridursi e standardizzarsi con l’avvento dell’industrializzazione e dell’agricoltura intensiva.
Questo non solo perchè la coltivazione intensiva è andata a ridurre il numero di specie e piante selvatiche ma anche perchè veniva meno l’esigenza di famiglie - e intere comunità - di utilizzare piante spontanee per la loro sussitenza alimentare.
L’alimurgia, cioè la scienza che studia il cibarsi di cibo selvatico, passa da essere una necessità a essere una tradizione. In alcune culture culinarie regionali troviamo ancora l’uso di piante spontanee in alcune ricette ma il foraging è un terreno di sperimentazione molto più vasto.
Iniziamo ad addentrarci in questo terreno
Se vi dicessi che nell’inventario di materie commestibili per l’essere umano troviamo le alghe non vi sembrerebbe così strano, ma se vi nominassi muschi, cortecce e licheni?
Anche il foraging ha subito un po’ la standardizzazione in ambito di cultura alimentare.
Stanno tornando di moda le ricerche sul riconoscimento di piante commestibili ma talvolta si esagera nell’utilizzo solo di alcuni ingredienti. Arrivando, da una parte a perdere la visione sulla filosofia che accompagna la relazione con il selvatico, dall’altra a creare in alcuni casi anche danni ambientali.
Spiegaci meglio cosa intendi con danni ambientali
Gli ecosistemi non sono fragili di per sè, ma sono legati a fitti sistemi di interrelazioni tra piante, animali, clima, terreno, acqua, presenza umana.
Se in un determinato territorio ci si focalizza sulla raccolta solo di alcune piante - soprattutto se non si conoscono i metodi di raccolta per portare a una rivegetazione - il rischio è di portare alla sparizione di quella pianta.
Posso fare un esempio, una delle piante alpine più raccolta è la Cicerbita Alpina: raccogliendone i germigli appena spuntati in grandi quantità non si dà alla pianta il tempo di crescere e propagarsi rendendola, ad oggi, quasi in via d’estinzione.
Per evitare di causare un danno all’ambiente come ci si approccia al foraging?
Ho iniziato ad occuparmi di foraging tanti anni fa e ho subito maturato la coscienza che servisse un nuovo modo di intendere la raccolta e la riacquisizione di questa attitudine.
Superare il concetto di tradizione e imparare a essere più fluida nell’incanalare questa conoscenza verso esigenze ambientali contemporanee. Per questo definisco il mio approccio al foraging conservativo. Non più legato a un tema di sussistenza ma di tutela e cooperazione con l’ambiente naturale.
Ho iniziato ad occuparmi della catalogazione sotto il punto di vista chimico nutrizionale di specie botaniche prevalentemente provenienti dal Sud America o dall'Asia per spostarmi verso altre aree del mondo.
Questo perchè spesso le specie considerate invasive hanno viaggiato da questi luoghi diventando poi una minaccia per specie autoctone.
Un esempio? La pianta del loto, in Asia considerata sacra ma che ad uso alimentare se ne usa la radice, il fiore, il bocciolo e la foglia. Viene introdotta in Italia a fine Ottocento sul corso del Fiume Mincio, una volta interrotta la sua coltura è diventata infestante con danni alla biodiversità e modificando l’habitat non solo per altre piante ma anche per la fauna.
A partire da questi studi e catalogazioni botaniche, ho introdotto una tipologia di foraging che non crei danni ambientali ma anzi crea benefici all’ambiente.
L’essere umano diventa quindi alleato della natura, raccontaci un po’ la tua visione
Io credo che ci sia un rapporto trascendente con la Natura. Questa tematica è parte del mio DNA: la famiglia di mia madre ha origine Sami.
I Sami sono una popolazione che ha vissuto in modo nomade tra la penisola di Kola in Russia fino alla Norvegia centrale includendo anche le regioni più settentrionali della Finlandia e Svezia, nella regione della Lapponia.
Nel 1922 tantissimi, tra cui i miei nonni, sono emigrati per via di una persecuzione che il governo svedese aveva attuato nei confronti di tutta la popolazione Sami.
È stata mia nonna a trasmettermi la sensibilità e conoscenza sulle tematiche del foraging e su una relazione con la biosfera: in molte culture, per millenni, il pianeta veniva rappresentato con uno spirito, celebrato e venerato come una Dea.
In questo disgeno del mondo, l’essere umano era fortemente connesso agli habitat naturali, era parte della natura non posto al di sopra. È tempo di mettere in discussione questo approccio: riconnettere l’essere umano alla natura restituendogli un ruolo attivo.
Un approccio che unisce filosofia e pratica ma che è anche un mestiere, ci racconti come sei diventata una forager professionista?
Il mio è stato un percorso. Ho iniziato studiando Beni Culturali con indirizzo antropologico, per poi specializzarmi in etnobotanica. Mi sono avvicinata anche al mondo dell’alta ristorazione, lavorando per tre anni in cucine stellate: mi sembrava importante avere un'esperienza diretta sulla materia, la conservazione, la fermentazione, la miscelazione e i suoi utilizzi gastronomici.
Per poi continuare studi e sperimentazione nell’ambito delle scienze naturali e dell’ecologia. Un o una buona forager deve portare con sè un bagaglio di competenze molto variegate.
Ci tengo poi a parlare di ambiente e sostenibilità a un pubblico non di addetti ai lavori, quindi utilizzare la cucina mi sembrava una chiave più semplice e immediata per risvegliare le sensibilità.
Chi volesse seguirti in un percorso in ambienti selvatici cosa deve aspettarsi?
Io sono anche guida di montagna, sono abituata ad avventurarmi in sentireri e praticare discipline sportive, nell’accompagnare le persone cerco di trasmettere la venerazione con cui mi incammino alla scoperta di un ambiente selvaggio.
Come esseri umani non siamo invincibili, anzi siamo sempre allievi nei confronti della Natura.
Per approfondire lo sguardo di Valeria Margherita Mosca, sono recentemente usciti due libri editi da Fabbri Editore: La natura è la mia guida e Alla ricerca della natura selvatica. Guida pratica al foraging conservativo.