Abbiamo deciso di non chiamarlo pre-loved, per evitare l’effetto “piatto pronto” e per coltivare la difficile arte dell’usare le parole con parsimonia. Chiamiamolo quindi con il vero nome: design di seconda mano. O di terza, quarta, decima: non ha nessuna importanza. Il punto è che è una realtà in grande crescita e sta colonizzando il web italiano, complice un gigante come Catawiki e il rinnovato interesse per la casa.
Esiste un mercato dell’usato di design in Italia?
Ci siamo chiesti se esiste un mercato dell’usato di design in Italia e la risposta è: sì esiste, è vivo e vegeto e in veloce espansione. Perché questo dato è interessante? Perché il report 2020 di Catawiki dice che il 25% dei suoi acquirenti è un Millennial e il segmento generazionale che cresce più velocemente, + 45% nel 2020, è quello della Gen Z. Un pubblico che ha meno di venticinque anni e che attraverso la scoperta dell’usato storico o raro, impara cos’è il design.
Il second hand piace ai giovani
Sembra poco, ma non lo è per niente. Il vero problema di molti brand di design è infatti raggiungere e appassionare i più giovani. Sono più bravi gli scandinavi in questo, grazie a una comunicazione più focalizzata, un uso dei social più disinvolto e a una politica dei prezzi votata a un downshifting che cura con attenzione la bilancia valore/qualità.
Si potrebbe replicare che un mercato meno disponibile a spendere cifre consistenti, non è un mercato interessante. Ma design freak non si nasce. Lo si diventa per curiosità, per esposizione spontanea al design, per educazione. Un lavoro di disseminazione culturale che, in pratica, possono fare solo le aziende attraverso i propri prodotti e i loro designer.
Comunicare il design second hand
La comunicazione è quindi fondamentale per creare nuovi connaisseur, persone che sanno riconoscere le ragioni del progetto. Un’opera di educazione e divulgazione che i marketplace più o meno specializzati fanno involontariamente grazie a investimenti massivi sui social. L’immagine di una credenza degli anni Cinquanta compare fra un post e l’altro e il trentenne curioso, “well travelled and well educated” (è l’ovvia descrizione del cliente medio del second hand per un’indagine DOXA del 2018) è agganciato.
Scopre un mondo, si informa, impara, acquista i libri di Mari, Munari, Sottsass e infine si aggiudica finalmente un divano Lido di Memphis, disegnato da Michele De Lucchi nel 1975, e non più in produzione, per 3mila euro. O una Tube Chair di Joe Colombo per 2.700 euro. È diventato un appassionato, il potenziale cliente dei grandi marchi made in Italy.
Il passaggio dal second hand al nuovo non è ovvio, ma certamente più probabile se il pubblico sa capire la parola “design” – intelligente, bello, funzionale, duraturo e sostenibile – e non la confonde più con “stile” o con “lo famo strano”.
I numeri del second hand
Qualche altro dato sul mercato dell’usato, dall’Osservatorio Second hand economy di DOXA. Ventitré milioni di italiani hanno comprato oggetti di seconda mano nel 2020, per un giro d'affari totale di 23 miliardi di euro. Non esistono dati focalizzati sul design e solo alcuni marketplace hanno un servizio di autentica e valutazione (Catawiki e Deesup), ma il segmento di mercato più frequentato è Casa e Persona con il 67% delle quote. Come dire che moda e arredamento si spartiscono un giro d’affari da 15 miliardi e mezzo di euro.
Le ragioni di tanto interesse? Il 50% delle persone pensa che sia un modo per dare più valore alle cose, il 48% pensa che sia una scelta sostenibile, il 55% dei Gen Z sostiene che è una scelta intelligente e attuale. Lo hanno capito bene anche da Vitra e da Artek, che già da tempo lavorano sul second hand con punti di vendita dedicati e, soprattutto, con un monitoraggio costante del proprio mercato dell’usato.
Pre e post loved
Non rimane che capire cosa fare dell’interesse che le persone mostrano per un design di qualità a prezzi raggiungibili. Della passione e della conoscenza che dimostrano nel partecipare alle aste online e della pazienza con cui si applicano a spulciare tonnellate di mobili, scegliendo con amore un pezzo di design o un vecchia credenza in vero impiallacciato degli anni Cinquanta. Qualcosa però ci dice che il pre-loved è anche post-loved: una buona notizia per il futuro del progetto.