Un monumentale libro illustrato ripercorre la figura multisfaccetata dell’uomo che rivoluzionò il decor e la manifattura

Se il personal brand, come sostiene Jeff Bezos, è quella cosa che dicono di te quando hai lasciato la stanza, allora l'identità di William Morris sarebbe semplicemente quella di un grandissimo decoratore, come lo salutarono i necrologi sulla stampa inglese nell’ottobre del 1896, quando il designer di Walthamstow, borgo della parte nord di Londra, morì a 62 anni.

Ma, per fortuna, dopo le porte della stanza eterna si spalancano quelle della storia, e allora il giudizio cambia completamente.

Una versatilità leggendaria

Il designer e lo scrittore, l’imprenditore e l’attivista politico, il pittore, il poeta, il calligrafo, l’autore di mobili, stoffe e carte da parati.

È ancora difficile, a distanza di centoventisette anni dalla morte, fissare la versatilità leggendaria del genio di Morris in una e una sola definizione, tanto che persino il monumentale volume illustrato che porta il suo nome, curato dalla più grande esperta di Arts & Crafts, Anna Mason, e uscito in Italia per Giulio Einaudi, estensione e aggiornamento del tomo che accompagnò una mostra storica nel 1996 al Victoria & Albert Museum, fatica a trovare una formula univoca per una delle figure più straordinarie della cultura britannica.

“Morris” scrive Mason “fu tanto un visionario quanto un uomo d’azione, e lavorò con fermezza durante la sua vita per democratizzare l’arte e favorire una nuova radicale uguaglianza sociale”.

L’opera come un social feed

Se facessimo pace con le parole, un secolo e mezzo dopo potremmo coltivare l’azzardo di definire Morris il primo design influencer della storia, e provare a immaginare la sua griglia Instagram come un meraviglioso alternarsi di Strawberry Thieves e Pomegranate, di ceramiche, piastrelle e vetri colorati, mentre le stories ritrarrebbero lui e gli altri della Morris, Marshall, Faulkner & Co - maestranze incluse - a tirare su uno degli interni che rivoluzionarono l’approccio alla manifattura e l’estetica dell’era vittoriana.

Le caption sarebbero pezzi di orazioni civili come L’arte e la bellezza della terra del 1881, in cui Morris scriveva che “di sicuro non esiste un miglio quadrato della superficie abitabile della terra che non sia bello a suo modo, se solo noi uomini ci asterremo dal distruggere deliberatamente quella bellezza”.

Il progetto e la sua identità, una visione olistica

La visione globale del progetto, in cui ogni dettaglio è l’elemento di una partitura generale, fanno di Morris - che eppure, va ricordato, non era architetto - un anticipatore dell’approccio olistico non soltanto al decor, ma all’identità stessa del design e del designer.

C’è un passo, nel saggio del volume a cura di Mason, scritto da Fiona McCarthy, che quasi commuove per il racconto della dedizione che l’uomo infondeva nei progetti per il tempo libero, che poi veramente libero non era mai.

Per anni, racconta McCarthy, Morris lavorò duramente per dare alle opere letterarie che ammirava una adeguata incarnazione materiale.

Trascrisse saghe, testi classici e persiani sperimentando scritture, impaginazioni e tecniche di doratura e miniatura.

“Proprio come nel suo approccio agli interni, era interessato a come combinare tutti questi diversi elementi per creare un insieme coeso. Questa attività, svolta principalmente la domenica mattina, era del tutto distinta dal suo lavoro commerciale per l’azienda, ma non meno seria nel suo intento”.

Storyteller ante litteram

Morris vedeva le cose nella loro interezza, era immerso nei dettagli delle varie discipline artigianali, ma senza perdere mai di vista il quadro generale.

Per questo, nel negozio della Morris & Co. in Oxford Street mise i suoi arredi fianco a fianco, per offrire una percezione migliore di come funzionavano insieme. Per questo, interno ed esterno, giardino e abitazione della Red House, vera e propria casa-manifesto, dialogano creando un continuum.

Morris riuscì anche a unire il mondo al tempo unicamente virile della manifattura dei mobili alla tradizione femminile dell’artigianato tessile.

Assimilava il colore con l’occhio del poeta e le sue palette, d’ispirazione medievale, erano una sorta di storytelling ante litteram.

Non a caso si appassionò alle vetrate delle cattedrali gotiche per le loro qualità narrative: trasmettevano il messaggio anche agli analfabeti.

Questa visione globale da mantenere a ogni costo lo rendeva un professionista poco malleabile, e infatti più di una lettera di amici, familiari o clienti lo racconta come l’ostinato che tiene il punto di fronte alle richieste del committente di utilizzare una tale stoffa anziché un’altra.

Certo, questa identità monolitica e allo stesso tempo multisfaccettata diventa polvere di strass se pensiamo a come il design dopo Morris ha gestito la sua eredità, riducendola spesso a una celebrazione ipnotica di pattern per la moda o il merchandising.

Ma in fin dei conti è il prezzo connaturato al genio che dobbiamo essere disposti a pagare. Anche se Morris, quasi sicuramente, avrebbe preferito non passare dalla cassa.