Lontana dalle tentazioni artistiche oggi molto diffuse nel mondo del progetto, Elisa Gargan Giovannoni riattualizza un valore primario del design: il rapporto dialettico e maieutico con l’industria. Per creare prodotti in grado di contribuire allo sviluppo economico delle aziende

Il design è come la mitologica chimera: possiede varie e mutevoli sembianze. Non è solo una professione, ma un’attitudine, come sosteneva László Moholy-Nagy e come argomenta Alice Rawsthorn nel suo recente libro “Design as an Attitude” (Documents by JRP/Ringier & Les Presses du Réel, 2018). È funzionale, ergonomico, sostenibile, amichevole, ludico, artistico, scultoreo…  Oggi conviene anche che comprenda l’intero universo del life style e che sia accessibile ai millennials, come annunciano le aziende storiche d’arredamento. Tutte queste sfumature stilistiche e di senso tendono però a trascurare la sua origine industriale. La parola “design” fu presa in prestito dalla lingua inglese per indicare il disegno industriale destinato a una produzione seriale, nato dal rapporto dialettico tra progettisti e aziende per rappresentare una leva di cambiamento e sviluppo sociale. Nella pluralità dei suoi linguaggi l’aggettivo “industriale” si è progressivamente perduto.


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Nata a Pordenone, industrial e interior designer, socia e moglie di Stefano Giovannoni collabora come progettista per la Giovannoni Design e con aziende come Alessi, Magis, Millefiori, Bisazza, VenetaCucine, Bertazzoni, Marzorati&Ronchetti, Viceversa. Vincitrice di numerosi premi e concorsi, tiene corsi alla Domus Accademy e alla Scuola Politecnica di Design.

Ci tiene, invece, a nominarlo Elisa Gargan Giovannoni, definendosi una designer industriale. Quando parla del proprio lavoro, precisa quanto sia importante che i suoi nuovi progetti siano coerenti con il dna delle industrie produttrici e contribuiscano alla loro crescita economica. Elisa non ha mai avuto tentazioni artistiche, né si è dedicata all’autoproduzione, ma, sin dagli esordi, ha sempre cercato di essere una valida interlocutrice per le aziende, disegnando prodotti di consumo, le loro ‘scenografie’ (stand fieristici e showroom) e curando i loro cataloghi. È friulana, e dei friulani possiede l’empatia. Ha studiato a Milano, alla Scuola Politecnica di Design, assieme a Ferruccio Laviani e Angelo Micheli, e con loro ha fatto il suo primo tirocinio nello studio di Michele De Lucchi, in via Colonna.

“A Milano ho conosciuto Stefano Giovannoni”, racconta, “quando era alla fine del periodo King Kong, il sodalizio professionale con Guido Venturini, suo compagno di studi all’Università di Architettura a Firenze. Stefano mi portò via dallo studio De Lucchi per farmi lavorare con lui. Abbiamo iniziato in via Gulli, in una sola stanza, e abbiamo creato insieme molti progetti, ma non li abbiamo comunicati. Non era il momento storico giusto per i progetti di coppia. Poi sono nati i figli… C’è stato il turbinio della vita famigliare… Ho fatto la madre, la grafica, anche la segretaria, per mandare avanti lo studio. Non era un buon periodo per le donne designer. Mi sono trovata l’uomo che mi piaceva e ci siamo permessi di fare la vita che amavamo. Mi piace Stefano perché non si è mai omologato, forse è anche un po’ ribelle. Penso che il nostro sodalizio abbia dato buoni frutti. Poi, con il passare del tempo, cresciuti i figli, mi sono sentita un po’ vincolata e ho avvertito il bisogno di realizzare progetti autonomamente, firmandoli con il mio nome. All’inizio un po’ in sordina. Dopo ho proseguito con aziende che fanno arredi, come Maletti, Veneta Cucine, Tubes. Stefano, invece, non ama gli arredi, lui è un maniaco del dettaglio e preferisce la micro scala”.

Per la mia formazione sono state molto importanti l’avanguardia radicale e l’esperienza di Memphis. Lavoro partendo sempre da un concetto, verifico che sia adatto all’azienda."

“Per la mia formazione”, continua, “sono state molto importanti l’avanguardia radicale e l’esperienza di Memphis. Lavoro partendo sempre da un concetto, verifico che sia adatto all’azienda. Se collaboro con un’impresa che distribuisce prodotti molto costosi, è necessario dare al progetto un valore aggiunto: una funzionalità speciale, una tipologia nuova, un’estetica inedita sono molto importanti per giustificare l’immissione sul mercato di un nuovo oggetto. La prima domanda che sempre mi pongo è se il pezzo che sto disegnando me lo metterei in casa, poi mi chiedo se serve a qualcosa e se è proprio necessario farne uno nuovo. Preferisco creare pochi oggetti mirati. Mi piace che, talvolta, la forma inedita nasca da una sorta di casualità o da qualche idea che avevo già in testa. Il radiatore Scaletta che ho disegnato per Tubes è innovativo, trasportabile, alimentato mediante una presa di corrente, e ha avuto un grande successo. Con Scaletta ho dato il via a una nuova tipologia nell’ambito dell’arredo bagno. Poi c’è la parte quotidiana del mio lavoro, quella dell’art direction, finalizzata alla creazione di un percorso aziendale”.

“Negli anni”, prosegue, “mi sono concentrata sull’analisi degli iter compiuti dalle imprese per cercare di realizzare progetti mirati. Un valido esempio è la mia collaborazione con Maletti - azienda della quale sono anche art director - che si occupa di arredamenti destinati agli spazi dell’hairstyling e del beauty. In questo momento anche i negozi dei parrucchieri e i saloni di bellezza si stanno differenziando, per raccontare delle ‘storie’, per offrire non solo un servizio ma anche un’esperienza. Ti esprimi mediante l’abilità nel creare oggetti nuovi, ma anche un progetto di interni parla di te e dei tuoi gusti. Oggi i social, come Pinterest, sono invasi da immagini di arredi per hairstylist. Il momento della cura della persona si è trasformato in una pausa irrinunciabile di relax e i saloni dei parrucchieri si stanno moltiplicando: progettare ambienti accoglienti e ben concepiti sta diventando di tendenza”.

Ti esprimi mediante l’abilità nel creare oggetti nuovi, ma anche un progetto di interni parla di te e dei tuoi gusti."

Elisa Gargan Giovannoni confessa di essere sempre stata brava a creare oggetti e di non essere interessata a disegnare divani. Si ritiene una industrial designer dedicata alle aziende per le quali cerca di progettare prodotti coerenti, dotati di un linguaggio comprensibile. “Per fare un buon design industriale”, conclude, “è necessario  possedere riferimenti culturali, formali e di segno. Poi esistono regole basilari da seguire. Gli oggetti spigolosi, per esempio, piacciono meno di quelli dalle linee fluide. Ma non credo nelle norme astratte e generalizzate. Sono una industrial designer e ci tengo a sottolinearlo. Sono legata alle aziende con le quali lavoro e mi gratifica realizzare progetti in grado di contribuire al loro sviluppo economico”.