Nei nuovi pezzi realizzati per Desalto, Guglielmo Poletti prosegue il suo percorso di ricerca architettonica sul materiale, attraverso la raffinata definizione di tensioni e di equilibri che mettono in luce i fondamenti logici del progetto

Quando si osserva una montagna non si sta guardando una ‘cosa’, ma una durata. Ciò che ha assunto forma osservabile come rilievo montuoso è la vastità del tempo profondo che, un millimetro alla volta, ha innalzato terra e roccia per centinaia di metri. Una sensazione simile la si prova osservando gli oggetti a metà tra arte e design, scultura e installazione domestica, di Guglielmo Poletti. La sensazione, cioè, di trovarsi di fronte non a un’idea concretizzata ma a un distillato di tempo, al precipitato materiale di un processo che è stato il vero agente dispensatore della forma.

Quest’idea di oggetti che nascono non da un pregiudizio estetico ma dal rispetto di un processo in cui il tempo viene aspettato, e incoraggiato, è centrale nel metodo di Poletti. Nasce infatti da questo metodo l’aspetto tipico dei suoi pezzi, teoremi di architettura avulsi da ogni scorciatoia estetizzante e solennizzati invece come dolmen di Stonehenge. Architravi del silenzio che definisce lo spazio. Non c’è, qui, rincorsa di una moda casualmente di passaggio.


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Guglielmo Poletti (nato nel 1987) è un designer italiano. Ha fondato il suo studio nel 2016 dopo essersi laureato alla Design Academy di Eindhoven, dove ha conseguito un Master in Design Contestuale. Attualmente con sede a Milano, il suo studio copre una varietà di progetti che vanno da pezzi personalizzati e serie in edizione limitata, a collaborazioni con l'industria. Fin dall'inizio, Poletti ha sviluppato un linguaggio coerente, costruito attorno a criteri solidi. Profondamente radicato in una modalità di indagine pratica, la sua ricerca esplora i limiti dei materiali in relazione al loro uso, sfidando la nostra percezione, mettendo in discussione le nozioni di equilibrio, precarietà e forza strutturale.

“L’idea di design come disegno non fa parte del mio modo di lavorare. Nel mio metodo”, dice Poletti, “bypasso completamente la fase di disegno a tavolino per partire direttamente dal materiale.” Un materiale di cui vengono percorse le nervature segrete, piallate le tensioni profonde, enucleate le configurazioni immanenti. Perseguendo non una soluzione estetica ma una sublimazione di processo. Prendono forma così i pezzi Void per Desalto, indagini subliminali sui concetti architettonici di massa e di vuoto. Similmente il tavolo MM8, sempre per Desalto, profila i limiti strutturali del materiale mettendo in tensione l’alluminio fino a portarlo allo spessore minimo di 8 mm.

Quello che mi interessa è collaborare con le figure giuste in base a quello che voglio fare, azienda o galleria, e con Desalto è andata proprio così: non mi è stato imposto un brief precostituito, mi è stata lasciata la libertà di sviluppare la ricerca a modo mio. "

Per fare questo tipo di cose occorrono partner disponibili a lasciare che il tempo faccia la sua parte. Perché le leggi della fisica non le puoi piegare, ti ci puoi solo allineare e, così, fartele alleate. “Quello che mi interessa è collaborare con le figure giuste in base a quello che voglio fare, azienda o galleria, e con Desalto è andata proprio così: non mi è stato imposto un brief precostituito, mi è stata lasciata la libertà di sviluppare la ricerca a modo mio. Così, se all’inizio il progetto doveva portare alla realizzazione di pezzi unici con scopo dimostrativo, alla fine sono venuti fuori pezzi adatti per essere inseriti in catalogo. Non perché ce lo eravamo posto come obiettivo, ma perché la ricerca è approdata lì”.

In questa interpretazione del design c’è molto dell’approccio olandese che Poletti ha appreso alla Design Academy di Eindhoven, culla di quel metodo ormai diffuso che ha messo al centro del progetto la sperimentazione di processo libera da ogni galateo formale. È infatti solo rispettando il processo, senza forzarlo nei propri pregiudizi estetici, che emergono quelle equazioni di geometria architettonica che sono gli oggetti del designer. Il quale non a caso individua proprio in architetti come Peter Zumthor, John Pawson e Maarten van Severen i suoi riferimenti principali, riconoscendo in loro la capacità di coordinare il principio costruttivo e il principio decostruttivo della forma.

L’idea di design come disegno non fa parte del mio modo di lavorare. Nel mio metodo bypasso completamente la fase di disegno a tavolino per partire direttamente dal materiale."

Tutto ciò si traduce nella costante ricerca del limite, intesa come “decostruzione di un’immagine preesistente per portare il pezzo a un punto in cui potrebbe sembrare troppo fragile per poter essere utilizzato, con l’aggiunta però di un accorgimento che gli restituisce forza. Si tratta di andare appena oltre il limite per poi tornare indietro per un’altra via”. Intagliando, così, una nuova fenomenologia dell’archetipo. Una nuova eternità della forma che metta in luce, sintetizzandoli come un chimico sintetizza una molecola, i fondamenti logici del progetto.