Quando si osserva una montagna non si sta guardando una ‘cosa’, ma una durata. Ciò che ha assunto forma osservabile come rilievo montuoso è la vastità del tempo profondo che, un millimetro alla volta, ha innalzato terra e roccia per centinaia di metri. Una sensazione simile la si prova osservando gli oggetti a metà tra arte e design, scultura e installazione domestica, di Guglielmo Poletti. La sensazione, cioè, di trovarsi di fronte non a un’idea concretizzata ma a un distillato di tempo, al precipitato materiale di un processo che è stato il vero agente dispensatore della forma.
Quest’idea di oggetti che nascono non da un pregiudizio estetico ma dal rispetto di un processo in cui il tempo viene aspettato, e incoraggiato, è centrale nel metodo di Poletti. Nasce infatti da questo metodo l’aspetto tipico dei suoi pezzi, teoremi di architettura avulsi da ogni scorciatoia estetizzante e solennizzati invece come dolmen di Stonehenge. Architravi del silenzio che definisce lo spazio. Non c’è, qui, rincorsa di una moda casualmente di passaggio.