E’ il 1969 quando il Musée des Arts Décoratifs di Parigi inaugura un’esposizione dal titolo “Qu’est ce que le design?” (Che cos’è il design?). La curatrice, Madame L. Amic, pone per l’occasione una serie di domande a Charles Eames che fornirà risposte di straordinaria lungimiranza, molte delle quali conservano ancora un valore immutato nel tempo.
Rileggerle, oggi che il Vitra Design Museum di Weil am Rhein dedica a Charles e Ray Eames la mostra “The world of Charles & Ray Eames” all’interno di una retrospettiva di grande respiro (30 settembre 2017 – 25 febbraio 2018), assume il senso di ritrovare nella fonte diretta le risposte a domande che non cessano di interrogare il nostro orizzonte del progetto. Domande alle quali i loro progetti continuano a prestare il fianco, attivando discussioni piuttosto che chiudendosi in risposte assolute.
Diversi i temi che vengono sollevati nel serrato Questions and Answers, ripreso nel film “Design Q & A” realizzato dall’Eames Office nel 1972 (nella versione di seguito presentata). Innanzitutto, quello della relazione tra arte e design, sulla quale gli Eames hanno ampiamente dimostrato che l’obiettivo va ricentrato non tanto sulle opposizioni, quanto su ciò che le rispettive discipline possono reciprocamente scambiarsi, pur rimanendo consapevoli delle proprie differenze.
Non dimentichiamo, infatti, che gli Eames sono stati i primi designer dell’era moderna ad aver dato una dimensione di apertura alla pratica del design, uscendo dalla sola progettazione di arredi e prodotti e includendo nel loro lavoro una dimensione olistica.
Una produzione, la loro, che era fatta di comunicazione nel senso più ‘open mind’ possibile, riscoprendo il valore del vernacolo folk accanto alla tecnica, del ludico insieme al progetto finalizzato, della complessità umana che può e, forse, deve informare il mondo delle macchine.
Di fronte a domande che incalzano alla ricerca di certezze, gli Eames hanno sempre risposto con la moltiplicazione dei punti di vista nei loro progetti. E con l’affermazione del diritto all’effimero, al cambiamento, alla rinuncia a una verità drastica e assertiva, alla quale hanno sempre preferito una dialettica mutevole come i bisogni e i desideri dell’uomo. Sino alla più estrema delle posizioni: quella del silenzio, della non risposta.
L’ultima domanda posta nel questionario a Charles Eames sarà infatti priva di risposta. In letteratura i grandi scrittori sanno che il vuoto narrativo è estremamente funzionale: serve a sospendere il giudizio assoluto dando spazio alla libertà; ma anche a proiettare in quella lacuna le proprie personali soluzioni per colmarla.
D’altra parte – si sa – il vuoto crea una vertigine che per alcuni è pura adrenalina e che non può essere tradotta a parole. A noi piace immaginare che a quell’ultima domanda sul futuro del design Charles Eames abbia risposto con quel suo grande sorriso che si riverberava negli occhi con un piccolo, brevissimo, lampo d’inquietudine: una scintilla di pura visione.
Domande di L.Amic, risposte di Charles e Ray Eames
Qual è la Sua definizione di “Design”, Signor Eames?
Si potrebbe descrivere il Design come un piano per sistemare i vari elementi al fine di raggiungere uno scopo particolare.
Il Design è un’espressione dell’arte?
Direi piuttosto che è un’espressione dello scopo. Se è abbastanza buono, successivamente potrebbe essere considerato arte.
Il Design è un mestiere che risponde a scopi industriali?
No, ma il Design potrebbe essere una soluzione ad alcuni problemi industriali.
Quali sono i confini del Design?
Quali sono i confini dei problemi?
Il Design è una disciplina che si interessa solo a una parte dell’ambiente?
No.
È un metodo di espressione generale?
No. È un metodo di azione.
Il Design è la creazione di un singolo individuo?
No, perché per essere realistici, si deve sempre riconoscere l’influenza di chi c’è stato prima.
Il Design è la creazione di un gruppo?
Molto spesso.
C’è un’etica nel Design?
Ci sono sempre vincoli nel Design e spesso questi implicano un’etica.
Il Design implica l’idea di prodotti che siano necessariamente utili?
Sì, anche se l’utilizzo potrebbe essere molto sottile.
Potrebbe concorrere alla creazione di opere riservate esclusivamente al piacere?
Chi direbbe che il piacere non è utile?
La forma dovrebbe derivare dall’analisi della funzione?
Il grande rischio, in questo caso, è che l’analisi sia incompleta.
Il computer può sostituire il Designer?
Probabilmente, in certi casi particolari, ma di solito il computer è un aiuto per il Designer.
Il Design implica produzione industriale?
Non necessariamente.
Il Design viene utilizzato per modificare un vecchio oggetto attraverso nuove tecniche?
Questo è un tipo di problema del Design.
Il Design viene utilizzato per far sì che un modello esistente risulti più attraente?
Di solito non si pensa al Design in questi termini.
Il Design è un elemento della politica industriale?
Se i vincoli del Design implicano un’etica e se la politica industriale comprende principi etici, allora sì … il Design è un elemento della politica industriale.
La creazione del Design ammette vincoli?
Il Design dipende ampiamente dai vincoli.
Quali vincoli?
La somma di tutti i vincoli. Questa è una delle poche chiavi efficaci del problema del Design: l’abilità del Designer di riconoscere quanti più vincoli possibili; la sua volontà ed entusiasmo per lavorare entro questi vincoli. Vincoli di prezzo, dimensioni, forza, equilibrio, superficie, tempo e così via. Ogni problema ha un suo specifico elenco.
Il Design obbedisce alle leggi?
Non bastano i vincoli?
Ci sono tendenze e scuole nel Design?
Sì, ma queste danno più una misura dei limiti umani che degli ideali.
Il Design è effimero?
Alcune esigenze sono effimere. La maggior parte dei progetti sono effimeri.
Il Design dovrebbe tendere all’effimero o alla permanenza?
Le esigenze e i progetti che hanno una qualità più universale tendono a una relativa permanenza.
Lei come si definirebbe rispetto a un arredatore? Un architetto di interni? Uno stilista?
Non mi definirei.
A chi si rivolge il Design: alla maggior parte della gente? Agli esperti o agli appassionati illuminati? A una classe sociale privilegiata?
Il Design si rivolge alla necessità.
Dopo aver risposto a tutte queste domande, sente di essere stato in grado di praticare la professione del ‘Design’ in condizioni soddisfacenti o addirittura ottimali?”
Sì.
È stato mai costretto ad accettare compromessi?
Non mi ricordo di essere mai stato costretto ad accettare compromessi, ma ho volutamente accettato i vincoli.
Quale ritiene che sia la condizione primaria per praticare il Design e per favorirne la diffusione?
Il riconoscimento del bisogno.
Qual è il futuro del Design?
… (nessuna risposta)
Testo di Domitilla Dardi