il Padiglione Italia a Expo 2020 Dubai è un viaggio che unisce la memoria storica del nostro Paese a un presente d’innovazione sperimentale e tecnologico: ne abbiamo parlato con i due progettisti Carlo Ratti e Italo Rota

Il Padiglione Italia a Expo 2020 Dubai, interpretato all’insegna del claim “La Bellezza unisce le Persone” con la direzione creativa di Davide Rampello, il progetto di CRA - Carlo Ratti Associati e Italo Rota Building Office, con matteogatto&associati e F&M Ingegneria, mette in luce l’ingegno e il saper fare del nostro Paese. Un laboratorio, tra memoria storica, ricerca e innovazione, materiali sperimentali e tecnologie sostenibili

Situato nell'area di Expo 2020 Dubai tra i distretti Opportunità e Sostenibilità, 3500 metri quadri di sviluppo e 27 metri d’altezza, il Padiglione Italia si declina come un viaggio che unisce la memoria storica del nostro Paese a un presente d’innovazione sperimentale e tecnologico. Nelle tappe di un immersivo giardino rigoglioso di verde e acqua, arte e scienza, manifattura, saper fare, ricerca avanzata e cultura, è strutturato intorno a un sistema di passerelle centrali sospese, ascendenti e discendenti, come le connessioni delle attività cerebrali della memoria.

All’interno del percorso espositivo messo a punto con la direzione creativa di Davide Rampello, c’è, per esempio, la trivella robotica di Leonardo per la missione ExoMars 2022 che cercherà tracce di vita presente o passata nel sottosuolo di Marte. Ma ci sono anche i filati naturali o in tessuto di fibra di carbonio riciclato dagli chassis delle auto. E ancora i mosaici, morbidi al tatto come un tessuto, realizzati dai maestri d’arte musiva ravennati.

Sono questi alcuni tra i temi di cui parliamo con gli architetti Carlo Ratti e Italo Rota, mentre il Padiglione Italia è già stato insignito del premio come miglior progetto imprenditoriale dell’anno, durante i Construction Innovation Awards negli Emirati Arabi Uniti; e mentre siamo accomodati sulle nuove Louis Ghost di Kartell in versione green, prodotte con un policarbonato 2.0, frutto di un processo di sintesi di scarti industriali di cellulosa e carta. Architetti, che cosa raccontiamo di questo complesso progetto narrativo realizzato con il contributo di più mani e menti?

Carlo Ratti: Ha offerto l’occasione per sperimentare qualcosa che resta, legato alla ricerca e al progresso, com’è nello spirito di un’Esposizione Universale. Ci siamo ispirati all’Expo di Osaka del 1970 e tre idee forti hanno guidato il progetto. La prima si può sintetizzare così: il Padiglione è stato concepito innanzitutto come un laboratorio di un sistema Paese che mette in mostra il suo pluralismo, e può anche provare, sbagliare e riprovare, secondo un processo evolutivo che ricorda molto quello che succede in natura, frutto di adattamenti e mutazioni progressive infinite.

Italo Rota: Trovo che da questo progetto emerga l’idea di una nave spaziale terra, tra utopia e realtà. Come diceva Buckminster Fuller in Operating Manual for Spaceship Earth, la barca è il primo tetto che viene creato, racchiude il senso primordiale di ricovero e di abitazione umana. Lo step successivo è stato quello di averlo tradotto in una sorta di architectural banking, un catalogo per costruire pezzi di futura architettura, attingendo alle potenzialità di un edificio pensato per essere smontato, recuperato e riconfigurato.

C.R.: Questo approccio di design speculativo ritorna infatti nell’idea di un’architettura circolare che fa della sostenibilità la seconda linea guida nei suoi contenuti più cogenti: prodotti a impatto zero, decarbonizzati, realizzati con materiali biologici ricompostabili e riutilizzabili.

I.R.: Parliamo di neomaterie. Rappresentano la traduzione di un’economia circolare in architettura, per esempio, i due milioni di bottiglie di plastica riciclata che diventano corde in tensione, facciate e tende del Padiglione e che potranno continuare a vivere in forme nuove mutanti un domani. La rappresentano le resine che mixano scarti di derivazione organica e naturale, come i fondi di caffè e le bucce d’arancia essiccate e ridotte in polvere, per rivestire le passerelle sospese interne o rendere performante la duna di sabbia locale su cui poggia l’edificio. E anche l’acciaio in parte riciclato che ne definisce la sofisticatissima struttura ingegneristica. L’idea di questa circolarità, a livello simbolico ma anche espressivo, è restituita dalle immagini delle barche, gli scafi di copertura, pronti a salpare verso nuove destinazioni, una volta finito l’Expo.

C.R.: Evocano il tema del viaggio per mare anche le corde nautiche di materiale riciclato che formano la perimetrazione esterna del Padiglione dotato, tra l’altro, di un sistema di nebulizzatori di raffrescamento come alternativa bio-climatica all’aria condizionata.

I.R.: Non dimentichiamo però che tutto questo è parte di una ricerca più ampia, volta ad esplorare in modo complesso e adulto il rapporto tra Naturale e Artificiale, in una dimensione di ibridazione.

C.R.: Ibridazione è quella che passa attraverso l’intersezione con la tecnologia, i sensori bio-ristor, disposti dagli esperti del CNR, che analizzano il sistema linfatico delle piante e indicano la quantità di acqua minima necessaria per il loro benessere, l’intelligenza artificiale, il digitale come materiale contemporaneo che consente di monitorare performance, estrarre dati e apportare costanti migliorie.

I.R.: Altresì ibridazione è la convergenza con la natura, il verde, l’acqua, con il mondo vivo che entra nell’architettura. Rappresenta la terza linea forte del progetto e anche l’unica speranza e modalità di intervento che abbiamo mentre cerchiamo di risolvere la crisi dell’Antropocene e affrontiamo le conseguenze dell’attuale crisi climatica. Così, anche le 160 specie di piante presenti nel Padiglione che, arricchendone la percezione sensoriale, fanno riflettere sul loro ruolo nella lotta alla desertificazione e sulla biodiversità paesaggistica del Mediterraneo, rientrano in questo orizzonte di ricerca. Come le grandi vasche d’acqua - altro elemento metaforico della mediterraneità - che accolgono le colture algali riscattate grazie alle sperimentazioni di diverse aziende italiane in prodotti di alto valore.

Andrea Branzi
Foto di Anna Serena Vitale
Il merito di questo progetto consiste nel fatto che l’architettura, finalmente, abbandona il mito della bellezza e punta su altri valori. Come è sempre accaduto nella storia del pensiero. L’Italia è l’unico paese al mondo che ha una conformazione legata alla forma di uno stivale da donna con il tacco alto. E questo costituisce la grande differenza tra l’Italia e tutto il resto del mondo. Le tre barche rovesciate, proposte per Dubai, ricordano a tutti che esiste l’arca di Noè collocata tra i ghiacci di territori irraggiungibili. L’architettura continua a proporre concorsi di bellezza facendo operazioni che ricordano le elezioni di Miss Italia. L’architettura invece deve avere il coraggio di rovesciarsi e superare l’estetica convenzionale. Per fare progetti nuovi occorre un grande coraggio, l’inutilità e anche la sfacciataggine. Era da tempo che mancavano vere sorprese e shock. Il mondo non ha bisogno soltanto di concorsi di bellezza, ma di progetti che capovolgano il pensiero e ribaltino le barche."

C.R.: Sperimentazione è anche la riproduzione in 3D del David di Michelangelo nel Teatro della Memoria. Non è un calco ottocentesco, ma un complessissimo gemello digitale realizzato in resina, polvere di marmo, R-PET. Anche questo, pur non facendo parte del nostro progetto di architettura, è un modo stimolante di interpretare il tema “La Bellezza unisce le Persone” dato dal Commissariato per la partecipazione dell’Italia a Expo.

Progetto di CRA - Carlo Ratti Associati e Italo Rota Building Office, con matteogatto&associati e F&M Ingegneria - Direzione creativa di Davide Rampello - Foto courtesy di Michele Nastasi