La storia di Otto, un locale di Milano che ha regolamentato il suo approccio al co-working, dice molto sulle sfide che comporta la necessità di integrare di questo concetto lavorativo nel quotidiano urbano

Lavorare fuori ufficio si può: è fatto (pandemico) assodato.

Cè chi adatta la sua abitazione allo smartworking ma cè anche chi, dopo i periodi solitari passati su Zoom durante i lockdown, preferisce lavorare da remoto, ma fuori casa, possibilmente in mezzo agli altri. Per esempio in un locale (un bar, una caffetteria, un circolo) o una struttura appositamente progettata per il co-working.

Il successo di questa formula è tale che alcuni dei locali conviviali aperti ai lavoratori in remoto hanno ora deciso di mettere dei paletti per contenere (e regolamentare) il fenomeno.

Lesperienza accelerata di questi anni ha reso infatti evidenti alcune falle: aspetti che, se non tenuti sotto controllo,  rischiano di rendere difficoltoso il rapporto tra chi viene in questi locali per mangiare, chiacchierare con gli amici o semplicemente godersi qualche attimo di pace e chi invece si districa tra presentazioni, file excel e video call.

Il co-working alternativo a Milano

Ospitale, gradevole e confortevole, Otto è un locale semplice e autentico, punteggiato da pareti verdi e pezzi vintage, situato, malgrado il nome, in via Paolo Sarpi 10 a Milano. Lidea con cui è nato nel 2015 è immediata: far incontrare le persone in un posto bello, naturale, genuino, con un grande spazio progettato multi-funzione: co-working ma anche proiezioni, meeting di lavoro, mostre e quant’altro. Poi negli anni le esigenze si solo evolute, fino alla pandemia che ha accelerato ed esasperato ogni cosa.

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Evoluzioni nel segno della semplicità

Parallelamente anche il progetto Otto si è evoluto: il locale milanese si esteso con oTTo cose, store di oggetti e complementi per la casa, mentre a Stromboli è nata la versione estiva, Otto a~mare (leggi qui). L’isola eoliana è anche il luogo, ruvido e magico, dove si svolge il ciclo di workshop OSA. Il mantra rimane quello dell’origine: cose belle nella lora semplicità.

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Da spazio aperto e libero a luogo ingestibile ed economicamente insostenibile

Otto è nato per lasciare a tutti i freelance, gli studenti e le persone con case piccole uno spazio grande, arioso, luminoso e verde, dove poter lavorare in compagnia.

Dopo poco ci siamo accorti che era un’idea un po’ naïf, impraticabile ed economicamente insostenibile spiega Roberto Marone, socio e amministratore di Otto.

Decine, a volte centinaia, di persone entravano per lavorare dalle 10 di mattina fino alle 10 di sera. A un certo punto eravamo letteralmente invasi: la mattina c’era la fila prima di aprire e non c’era davvero più posto per bersi un caffè o una birra.

Succedeva di tutto: gente che si portava il Mac fisso, il pranzo da casa, colle spray, pitture, stampe da plotter grandi come 2 tavoli, e persino stampanti 3D.

A un certo punto sui muri c’erano segnati a penna gli appunti delle call. È tutto accaduto veramente, non sto esagerando. Insomma oTTo non era più un bar, ma una enorme sala pubblica anarchica (e gratuita). Era ingestibile.

La necessità di regole ferree e le conseguenti critiche 

Siamo così dovuti correre ai ripari, correggere il tiro e imporre regole ferree: si poteva lavorare solo su pochissimi tavoli e solo pochissime ore al giorno” prosegue Marone. “Per questo rigore ci siamo presi gli improperi eufemismo di mezza Milano, oltre a qualche centinaio di recensioni al vetriolo. Poi, per scherzarci, nel 2018 facemmo un video (guarda qui) che fece 40mila visualizzazioni. Ancora oggi a vederlo ci fa molto sorridere”.

Ora Otto cambia idea e propone una formula ibrida

Intanto il mondo è cambiato: questi anni pandemici hanno cambiato le condizioni personali e professionali, aprendo possibilità (e mentalità).

Molte più persone lavorano in smartworking e sono sempre di più quelle che chiedono di poter tornare a lavorare nel locale, tanto accogliente, luminoso, rigoglioso e domestico quanto funzionale. Ecco che quindi Otto ci ripensa e prova a offrire uninedita proposta ibrida calibrata dallapproccio più regolato e meno improvvisato.

Le nuove regole e il prezzo accessibile

Da lunedì 7 novembre da Otto sono cambiate alcune cose:

  • gli orari: dal lunedì al venerdì il locale apre la mattina più presto, alle 9.30, e si può lavorare fino alle 18,30, escludendo una breve pausa pranzo.
  • si può lavorare su qualunque tavolo, anche in terrazzo, e in quanti si vuole.
  • è previsto un prezzo contenuto: 6 euro per mezza giornata e 10 euro per tutto il giorno.
  •  il prezzo comprende caffè libero e self service.

È un prezzo accessibile a chiunque. A questa cosa teniamo molto” specifica Marone, che non esclude l’ipotesi di introdurre in futuro una sorta di abbonamento mensile.

Mettersi in gioco sperimentando. E ricalibrando, se necessario

Ci mettiamo in gioco” conclude Roberto Marone. Forse siamo i primi a farlo con questa formula, per cui, almeno per ora, spero che i clienti siano clementi se qualcosa non funziona e se cambieremo qualcosa: via via proveremo diverse soluzioni.

E si appella a tutti i fruitori “ovviamente siamo terrorizzati: prometteteci che non ci ritroveremo di nuovo stampanti 3d, colle spray, e muri pieni di scritte!

Ma quella che si respira, oltre a una buona dose di preoccupazione (condivisibile), è felicità: la felicità di chi sa cambiare idea con misura, cortesia e apertura (mentale). Dopo tutti questi anni, questi ultimi due poi così intensi, ci piace molto lidea di sperimentare una formula ibrida ma soprattutto di provare a fare cose nuove.