La relazione con la nostra casa è come una storia d’amore: per tenerla viva bisogna elaborare modi per restare un po’ sulle spine, condire il quotidiano di imprevisti, stupore e magia. Perché i sentimenti scalpitano nei corpi vivi, non in quelli impigriti dal troppo comfort

Sara Ricciardi, artista, designer e creative director. Insegna Social Design e Pratiche Relazionali alla NABA

Ho 31 anni e non ho mai avuto un divano.

I primi oggetti che ho voluto per definire i miei spazi domestici sono stati: un tavolo grande e disposto a tutto, un quadro evocativo e magico, un grande tappeto per sogni e rituali.

Poi, lentamente, è entrato tutto il resto… le memorie, le necessità, il tempo.

Il divano però no. Lo amo molto nelle case degli altri. Ma tra noi e le nostre case serve un rapporto di seduzione continuo che va tenuto acceso.

Troppo comfort inebetisce

 

Cosa c’entra il divano?

Nel mio caso, è un elemento che mi ingloba fisicamente e mi ubriaca, lasciandomi inebetita. E siccome i limitati metri quadrati in cui vivo impongono delle scelte, per tenere viva la creatività – come una ballerina di flamenco – ho bandito gli oggetti che potessero agevolare l’arrivo della signora pigrizia. Al di fuori del letto, ho preferito il riposo del cavallo. Quello in piedi, sempre in allerta.

Questo perché i miei processi mentali di ideazione hanno sempre goduto di ambientazioni “critiche”. Il processo creativo deve essere quotidianamente stimolato dalla presenza di limiti e ostacoli. I muscoli della progettazione così si allenano e io ne ho fatto una pratica giornaliera.

Io e i miei 60 mq – dove avviene tutto: si lavora, si sogna, si ospita, si ama, ci si nutre – ci amiamo ancora molto, nonostante tutto questo tempo insieme. Come fossimo fidanzati, ma in un rapporto che riformuliamo continuamente contemplando e applicando continue variazioni. Non ci annoiamo mai in questo tango stretto.

Evitare il moto perpetuo dell'abitudine

Perché il rischio che la relazione si consumi nell’elaborazione del moto perpetuo dell’abitudine c’è. Per tutti. Provate per esempio a immaginare di guardavi nella vostra casa dall’alto per giorni.

Cosa fate? Andate dal bagno alla camera poi in soggiorno, alla libreria, e poi il caffè. Poi andrete a letto e il giorno dopo? Vi prego sguinzagliate l’immaginazione e i ricordi e osservatevi nei movimenti. Le tipologie di interazioni diventano abitudinarie, dinamiche obbligate, tendiamo per un processo umanissimo di “conservazione delle energie” a non modificare le nostre azioni, a non perderci. Ma noi mutiamo negli umori e nelle voglie e i nostri luoghi devono accompagnarci in questa trasformazione.  La casa spesso è talmente ovvia da lasciarci privi di stupore: da qui nasce l‘inerzia emotiva. Le formule magiche vanno costantemente aggiornate.

Il divano? Mi ingloba fisicamente e mi ubriaca gli slanci "

Le case sono luoghi dove l'intimo e l'inconscio devono emergere in maniera visibile

 

Rimboccarsi le coperte nei panciuti avverbi di tempo come “per sempre” e “mai” può essere pericoloso.

È un processo naturale. Quando camminiamo nei boschi siamo sempre concentrati e attenti perché non diamo per scontate le informazioni dell’ambiente… In un aeroporto è l’opposto: qui tutto è progettato per una comprensione immediata. Icone, uscite, bagni ed emergenze.

Ma le case sono luoghi dove l’intimo e l’inconscio devono venire fuori in maniera visibile. Possono e dovrebbero dare spazio a geografie sconosciute alle cartografie scientifiche, che narrano i così diversi caratteri umani diventando luoghi di grande pathos, e non squallidi apparati anti-dinamici.

C’è poi un altro fattore fondamentale: in un corpo pigro non si creano maremoti. I sentimenti scalpitano nei corpi vivi. L’entusiasmo si genera nel pensiero così come nella vostra pelle.

Ecco perché nella mia casa le posizioni che posso assumere sono tantissime ma richiedono tutte una certa fisicità e concentrazione. Tutto si muove, sempre, gli oggetti sono dei più svariati, appesi o nascosti, i libri formano trincee in ogni luogo, disposizioni di altarini che si alterano costantemente. Muovo gli elementi della casa da un luogo all’altro senza pensarci, è il mio gioco continuo, che certe volte richiede anche molto sforzo per risistemare tutto. Ma è così che avvengono grandi fioriture. Nelle collisioni c’è magia. Andando da un luogo all’altro, portando dietro parole ritagliate e piccoli oggetti, è come se impollinassi le idee.

Possiamo farlo in spazi che frequentiamo ogni giorno? Assolutamente si!!

In questa variazione del tema noi ruggiamo.

Scomponiamo la nostra casa

Come si fa? Organizziamo derive negli spazi domestici, diamo un taglio alle consacrazioni imperiture. Scomponiamo la nostra casa! Non viviamola impilandole tutto sui perimetri. In casa non esistono “il modo migliore” o “la posizione perfetta” in base a flussi energetici o luminosi... tutto è relativo e variabile in base all’età e agli umori.

È come se impollinassi le idee"

Mia madre quando ero piccola non capiva perché restassi in macchina in garage a leggere. L’abitacolo semi-buio, l’odore, la postura mi eccitavano e mi donavano grande avidità mentale. Ogni persona ha differenti voglie ed esigenze che non collimano tra di loro e che tra l’altro cambiano nel corso della vita. Per cui oggi il luogo dove amo leggere in casa sono le scale che portano al soppalco e per mia madre è sempre uno scandalo.

Apprezzo moltissimo i progettisti che seguono le inclinazioni psicologiche delle persone per disegnare gli spazi. Nessuno stile, ma cascate di identità ben pettinate.

È questo l’unico modo in cui desidero progettare ambienti. Amo immaginare come poi muteranno nel tempo poiché lo scettro della progettazione passa nelle mani delle persone che nel quotidiano, se non sbiadiscono nello spirito, sono gli autori che fanno del loro spazio una potente manifestazione del sé e la loro grande opera d’arte.

Cover photo: Ezio Scarlatella, set di Carlomaria Filippelli