Progettare è capire e studiare. Tanto più quando si parla di dispositivi salvavita come le mascherine. Considerazioni su quello che è accaduto durante la pandemia (e le lezioni che se ne possono trarre)

* Raffaella Mangiarotti è architetto e designer. Insegna al Politecnico di Milano

Funzione, estetica, ergonomia. Sono questi i parametri fondamentali per progettare le mascherine, diventate ora dispositivo di pubblica sicurezza indispensabile a tutti. Progettarle sbagliate significa generare un pericolo, mettendo a rischio la salute di tutti.

All’inizio del lockdown, designer e aziende hanno lavorato a progetti di mascherine, senza dialogare e procedendo ognuno per la sua strada. I designer hanno privilegiato quasi esclusivamente l’estetica, le aziende hanno pensato solo al materiale da utilizzare. Scarse conoscenze sul tema e frettolosa volontà di avere qualcosa piuttosto che niente hanno spinto le istituzioni a spendere milioni di euro importando merce probabilmente inutile. Nel frattempo, il Politecnico di Milano ha dato il via al progetto Polimask: ha valutato 2.000 tipologie di maschere – realizzate in diversi materiali e provenienti da tutto il mondo – e concluso che solo 10 potessero esser classificate come valide.

Le soluzioni improvvisate, anche nell'emergenza, non si addicono a chi fa design

Occorre quindi far chiarezza, senza polemica, ma con la serietà e la competenza del mestiere. Progettare è capire e studiare. Trovare soluzioni non improvvisate, malgrado l’urgenza. È condividere informazioni corrette, know-how di ambiti diversi, esperienza sul campo, prima di metter mano alla matita.

Quali sono i parametri di efficienza filtrante, fondamentali per progettare una mascherina che sia funzionale dal punto di vista igienico-sanitario? Il Politecnico l’ha chiarito: le mascherine chirurgiche e i Dispositivi di Protezione Individuale (le cosiddette FFP2 e FFP3) devono essere costituite da 2-3 strati di materiale – solitamente TNT, ovvero tessuto non tessuto di matrice polimerica – che agisca sia come filtro meccanico (fino a 10 micron di diametro) sia come filtro elettrostatico, per catturare le particelle più piccole.

Quando usabilità vuol dire efficienza

Ci sono poi i parametri di ergonomia, vestibilità, usabilità. Il modo in cui indossiamo, utilizziamo e rimuoviamo le mascherine ha un impatto forte sulla loro efficienza: il gesto stesso di metterla o toglierla mette a rischio la nostra incolumità, se fatto non correttamente. Portare una mascherina non è un’azione scontata, soprattutto nel mondo Occidentale: ci priva di una parte espressiva del volto. È un aspetto umano e emotivo che medici e infermieri hanno sperimentato e segnalato come nella cura dei malati Covid-19 in isolamento.

Vi sono poi temi legati alla lavabilità, sanificazione e possibilità di sterilizzare filtri, per limitare il consumo di materiali usa-e-getta, sul lungo termine. Economia circolare e impatto ambientale di questi dispositivi sono questioni aperte: dalle maschere monouso, indispensabili in certe situazioni, all’inquinamento da microplastiche (le microfibre di polipropilene), sono solo un esempio.

La sfida per designer e progettisti industriali è quindi aperta: Milano è stata colpita al cuore dal Covid19, ma offre anche un terreno fertile di creatività e innovazione da cui dobbiamo ripartire. C’è ancora moltissimo da progettare per l’emergenza Covid-19. Facciamolo al meglio e non prendendo facili scorciatoie. Fiduciosi nella forza positiva del progetto.

 

 


Progetto open source iSphere dello studio berlinese Plastique Fantastique (Marco Canevacci e Yena Young): il casco trasparente si ispira ai fumetti di fantascienza degli anni Cinquanta e alle visioni utopiche degli anni Sessanta. Foto e video shooting di Marco Barotti.