Il modo in cui progettiamo le città è la principale causa di emissioni all’origine della crisi ambientale. Le pandemie sono un sintomo di questa crisi e per evitarle serve abbandonare gli instant projects e creare visioni sistemiche ispirate anche agli agglomerati urbani informali

* Alessandro Melis, architetto e Professore, Direttore Cluster for Sustainable Cities, University of Portsmouth (UK), Curatore del Padiglione Italia alla Biennale Architettura di Venezia 2020.

Conosciamo da tempo gli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute. E anche chi ne soffrirà maggiormente. Secondo l’ONU, saranno soprattutto negli insediamenti con inadeguate infrastrutture per acqua potabile, servizi igienico-sanitari e con qualità abitativa scadente. Cioè gli agglomerati dei più poveri, quelli meno progettati e pensati da urbanisti e architetti.

C’è qualcosa di drammaticamente ingiusto in tutto questo. La città pianificata – il concetto “evoluto” di agglomerato urbano – contribuisce alla crisi ambientale ma chi ne subisce gli effetti sono gli insediamenti informali. Che poi, di conseguenza vengono additati come un problema, anziché la conseguenza del problema stesso. Invece dovremmo osservarli con grande attenzione.

Nell’informalità urbanistica, infatti, si possono trovare soluzioni creative e inaspettate e pratiche comportamentali a basso impatto e di coesistenza con specie non umane. Come nell’algerino El Houma, nel centro storico di città del Messico o nei sobborghi di Akure.

Non si tratta ovviamente di interpretare positivamente carenze infrastrutturali e pressione sociale. Ma, al contrario, di riflettere sulle dinamiche di adattamento attive in questo luoghi e analizzarne il valore come possibile antidoto al determinismo progettuale.

Perché dovremmo guardare agli slums per pensare a come affrontare le grandi crisi globali?

La risposta a questa domanda ci viene dallo studio della biologia evolutiva.

Poco del lavoro dei biologi dell’evoluzione è stato tradotto in architettura. Eppure quello che dicono è importante per chi progetta. Stephen J. Gould per esempio ha spiegato che l’evoluzione utilizza la ridondanza e la variabilità delle forme per rispondere a condizioni ambientali imprevedibili. L’esempio più classico è il sesto dito del panda, escrescenza ossea preesistente che diventa strumento quando l’animale, originariamente carnivoro, si è trovato a dover maneggiare i bambu per potersi nutrire.

Il proliferare e la ridondanza di queste forme trova definizione nel termine “spandrel”. La possibilità di utilizzarle per rispondere a una funzione non prevista si dice exaptation (cooptazione funzionale).

Questi due concetti di ridondanza e variabilità d’uso delle forme offrono applicazioni incredibilmente pratiche nella progettazione della resilienza intesa come adattamento a condizioni non previste. Cosa potrebbe infatti succedere se, come i panda, iniziassimo a usare strumenti che già abbiamo (e che consideravamo inutili) per affrontare i grandi problemi di oggi?

Per far ciò serve pensare in modo associativo e non lineare. L’uomo lo sa fare, spiega la scienza. I sistemi creativi– dice il genetista Ewan Birney – sono caratterizzati dal proliferare di forme e interconnessioni e dalla capacità di generare pensieri non lineari senza un'utilità necessariamente predefinita, come il pensiero associativo. Mentre la paleantropologa Heather Pringle ha evidenziato come la creatività sia il risultato di meccanismo di sopravvivenza che si attiva in modalità di crisi, rispetto a quello standard del pensiero lineare. L’evoluzione biologica, insomma, non è stata un processo graduale ma una serie adattamenti radicali, innovativi e inconsequenziali da parte degli organismi a momenti di crisi.

Cosa significa tutto questo in architettura? Che una progettazione informale, ispirata alla cooptazione funzionale, può insegnarci molto nel pensare a modalità alternative e non antropocentriche di colonizzazione della biosfera. E che quello che ci salverà sarà rimettere al centro la creatività vera. Quella che, in termini evoluzionistici, è l’opposto della logica lineare della pianificazione e che avanza attraverso idee radicali.

 

Nella foto di apertura (da PxHere) una vista panoramica dei sobborghi di Città del Messico.