La logica dell’emergenza ha riportato le decisioni al vertice della piramide organizzativa. Con il ritorno graduale alla normalità è fondamentale che il design faccia valere le sue ragioni, funzionando come antidoto alle spinte regressive che una crisi così dolorosa porta inevitabilmente con sé

* Stefano Micelli, economista, professore associato di Economia e Gestione delle Imprese e presidente del corso di laurea in International Management presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

In questi ultimi vent’anni, il design ha cambiato pelle. Ha esteso i suoi ambiti di applicazione. Ha saputo imporsi come leva del cambiamento in campi diversi, dall’arredo alla progettazione delle interfacce digitali, dai dispositivi biomedicali fino ai nuovi prodotti versione 4.0.

Il design è ascolto della società

Un elemento essenziale del successo del design è stata l’enfasi sull’utilizzatore finale come punto di partenza di ogni forma di innovazione. Ogni percorso progettuale parte infatti dall’empatia. Il design è ascolto della società, a costo di sfidare punti di vista consolidati e di riconfigurare – quando necessario – processi produttivi dati per acquisiti.

La pandemia che abbiamo vissuto in questi mesi ha improvvisamente modificato la traiettoria che il design ha impresso all’evoluzione di manifattura e servizi. La logica dell’emergenza ha riportato le decisioni al vertice della piramide organizzativa. Ha riportato i singoli a semplici numeri e statistiche.

Alla base dell'innovazione, il vissuto degli individui

Con il ritorno graduale alla normalità è fondamentale che il design faccia valere le sue ragioni, proponendo un’idea di innovazione capace di fare proprio il vissuto degli individui.

È importante tenere a mente che i problemi che abbiamo di fronte richiedono il riconoscimento delle difficoltà altrui, la capacità di interpretare bisogni latenti. Proprio grazie a questa sua capacità di cogliere la varietà dei segnali che vengono dalla società, il design, inteso nel senso più profondo del termine, è stato capace di rappresentare un enzima chiave nella modernizzazione delle nostre imprese e della società nel suo complesso.

In questi mesi piattaforme istituzionali come l’ADI - Associazione per il Disegno Industriale e testate online hanno raccolto progetti per risolvere i tanti ostacoli che l’epidemia pone alla vita di tutti i giorni.

La vitalità di questi contest testimonia le potenzialità di un percorso che si fonda su logiche bottom up, capaci di innescare la risoluzione di problemi attraverso l’incontro fra i progettisti e i loro interlocutori. In tutti questi cantieri il design non è semplicemente risoluzione elegante di problemi complessi. Ma anche e soprattutto ricostruzione di un tessuto connettivo a livello economico e sociale. È riconoscimento della varietà dei bisogni e dei contesti.

Una larga parte dell’economia italiana si fonda sulla capacità di tradurre relazioni e dialoghi in valore economico. Il Made in Italy nel mondo è sinonimo di varietà e personalizzazione. Sarebbe riduttivo, tuttavia, pensare che la posta in gioco sia solo economica.

Un sistema produttivo che dialoga con la domanda, che accetta la sfida di ripensarsi e di riorganizzarsi a partire dalle richieste di interlocutori attivi e consapevoli, contribuisce a rinnovare il valore della coesione sociale. Rimettersi all’ascolto contribuisce a rinsaldare legami e fiducia all’interno del Paese così come a livello internazionale. Il design è un antidoto ai caratteri regressivi che una crisi così dolorosa porta inevitabilmente con sé.