È ovunque, fuori e dentro di noi. Per questo progettare significa fare un uso sapiente del vuoto. Che non è il contrario del pieno, ma uno spazio più ricco, in quanto carico di possibilità

* Mario Trimarchi, industrial designer e artista. Fondatore e direttore dello studio di corporate identity Fragile

Oggi il vuoto è impopolare, forse è il momento di rivalutarlo. Dopo decenni di rincorsa del pieno, tra bulimia consumistica e multitasking pervasivo, potremmo fermarci per comporlo insieme.

Anche se non ce ne rendiamo conto, ci confrontiamo spesso col mistero del vuoto. Quando ascoltiamo la musica e capiamo l’importanza delle pause e dei momenti di silenzio. Quando progettiamo un oggetto e misuriamo l’ampiezza dei gesti di chi lo userà. Quando leggiamo un libro e ci immergiamo nell’armonia dello spazio vuoto che circonda il testo. Quando scegliamo un carattere tipografico e ci sforziamo di comprendere se i tratti neri abbracciano con amore il vuoto dei bianchi.

Il vuoto è dappertutto, fuori e dentro di noi.

La maggior parte dello spazio interno dell’atomo è vuoto, proprio lì dove gli elettroni percorrono le loro orbite quantistiche. Anche se non ci piace ammetterlo, noi stessi siamo fatti praticamente di materia vuota.

A differenza della natura, che non ama il vuoto, tutto quello che l’uomo progetta non può prescinderne. Progettare significa quindi fare un uso sapiente del vuoto.

Il vuoto e la città

Mi piace leggere la storia dell’architettura come rapporto altalenante tra l’uomo e il vuoto.

Nelle rappresentazioni della Città Ideale è il vuoto il vero protagonista, le architetture stanno a contorno: niente persone, alberi, cavalli. Nelle Piazze d’Italia il soggetto centrale per De Chirico è il vuoto del pomeriggio, con la sua luce e le sue ombre misteriose. Chi studia i vuoti urbani non vede l’ora di riempirli, perché non vuole permettere alla città di essere anarchica nemmeno in maniera episodica.

Templi e santuari, d’altra parte, sono sempre stati progettati vuoti, per permettere agli Dei di venirci ad abitare.

Il vero coraggio del Seagram Building di Mies van der Rohe risiede nel vuoto improbabile che esso lascia tra sé e Park Avenue, e che sconvolge i criteri topografici di Manhattan. Uno spazio immateriale che permette all’invisibile di diventare spazio solido tra i grattacieli.

Il vuoto non è il contrario del pieno, e non vale di meno. Il vuoto è più ricco, in quanto luogo d’infinite possibilità.

Il vuoto e la casa

La casa viene generalmente progettata vuota ma viene poi nel tempo riempita di mobili e oggetti da chi la abita, perdendo il senso originario. Ma è ora di invertire questo processo. Scegliamo un oggetto, lo mettiamo al centro di uno spazio vuoto, e attorno progettiamo la casa più adatta a ospitarlo. In questo modo la casa si adatterà al senso e alla presenza dei nostri oggetti. Abiteremo poeticamente, muovendoci con dolcezza e parlando a bassa voce in uno spazio finalmente vuoto di cose e pieno di precisione.

Mi rendo conto che la foto di un cantiere è sempre più bella della foto di una casa finita ma vuota, che a sua volta è sempre più bella di una foto di una casa piena (di persone e di cose).

Saper abitare è bello, ma saper disabitare è più raffinato. Nessuno ci ha mai insegnato a disabitare, a lasciare vuoto uno spazio che un tempo avevamo riempito. Né ci ha mai spiegato come portare via le cose lasciando la scena profondamente impregnata della loro memoria.

Il vuoto dovrebbe essere insegnato a scuola.

Il vuoto e gli oggetti

L’amore per il vuoto porta con sé una sfida precisa: possedere pochi oggetti.

Dobbiamo trovare dei criteri per poter abitare con soli dieci oggetti, e sceglierli così bene da poterli magari tramandare ai nostri figli.

La cultura tradizionale giapponese dell’abitare ci racconta l’attenzione speciale per il ma, parola che indica lo spazio vuoto tra due oggetti. Ecco, gli oggetti si sentono meglio quando tra loro c’è lo spazio esatto, quell’intervallo che permette alle loro ombre di non toccarsi mai.

Per Heidegger un vaso vuoto mette in contatto il Cielo con la Terra.

Quando per noi sarà chiaro che il vuoto del vaso è il vaso stesso, cominceremo a capire finalmente il linguaggio delle cose e a pensare come pensano gli oggetti.

Useremo il vuoto come ingrediente indispensabile del progetto, e ci sentiremo più umili e più ricchi.

Per fortuna il vuoto, parafrasando Luigi Zoja quando parla della Bellezza, è ciò di cui possiamo nutrirci senza che la riserva disponibile diminuisca.

Progettare significa fare un uso sapiente del vuoto"

Masataka Nakano, Tokyo Nobody


Foto di apertura e nel testo realizzate da Max Intrisano @maxintrisano dal tetto della sua abitazione in zona Monteverde, a Roma, durante il lockdown. Con un'immagine al giorno, il fotografo ha voluto trasmettere la sensazione di sospensione temporale vissuta sul terrazzo condominiale, diventato spazio abitativo quotidiano ma anche luogo metafisico, restituendo così i diversi modi di vivere. E di sopravvivere.