ll modo in cui si racconta la storia dipende dalla responsabilità che intende assumersi. E la storia del design non fa eccezione

* Luciano Galimberti, presidente di ADI - Associazione per il Disegno Industriale

Ci sono tanti modi per raccontare la storia e quella del design non è diversa dalle altre. La storia piò essere più o meno dedicata agli addetti ai lavori, più o meno autoreferenziale nel linguaggio, più o meno assertiva. La scelta dipende dalla responsabilità che si intendono assumere.

Gli strumenti che supportano la divulgazione della storia sono tantissimi, ognuno con un suo obiettivo, linguaggio e pubblico. Si va dai saggi specialistici alle favole, dai corsi universitari alla critica di settore fino alla divulgazione più popolare, filtrata attraverso la rete, la cinematografia, i social e persino le pubblicità. In questa lista entrano ovviamente anche le grandi istituzioni come i musei che incarnano un impegno civile per la costruzione del futuro: e che per questo devono guardare senza retorica o rimpianti il passato con l’obbiettivo di costruire il futuro.

Fare oggi un museo del design significa assumersi una responsabilità verso un pubblico vasto, che ormai supera i confini cittadini e nazionali, per interloquire a livello più globale. Significa avere una responsabilità verso una comunità fatta da progettisti, imprese, scuole, distributori, critici, storici, ricercatori: verso la lunga filiera che ha garantito il successo planetario del design made in Italy.

A differenza delle tante formule di design sviluppate nel mondo, quello italiano non si è mai limitato alla sola forma dei prodotti, magari attraverso linguaggi sempre coerenti. Il design italiano si è distinto per la propria capacità di prefigurare relazioni sempre originali tra i prodotti e chi, in un panorama globalizzato, ancora oggi in maniera riduttiva continuiamo a definire fruitori.

Il design italiano ha privilegiato la pluralità dei linguaggi espressivi per poter sottolineare l’appartenenza dei prodotti a un contesto sociale e temporale. Un’attitudine che è uno dei motivi per cui il nostro design è meglio compreso nel mondo: parla alle persone prima che al mercato.

Il design quindi come materia viva, che vive nella contemporaneità, fatta certamente attraverso una solida disciplina tecnico scientifica, ma anche attraverso una capacità narrativa coinvolgente, capace di emozionare al di là della funzione. Un design capace di parlare alle persone attraverso sogni e desideri, che riescono a travalicare i tanti problemi, qualificando il futuro in un progetto di futuro lontano dalla casualità.

Attraverso una lettura curatoriale a più livelli, l’ADI Design Museum – Compasso d’Oro offrirà chiavi interpretative coinvolgenti e non semplicemente celebrative, perché rivolte agli uomini e alle donne di tutte le età e non a un indifferenziato pubblico. Sarà un museo esperienziale, dove i prodotti saranno accompagnati nella loro lettura da un ampio bagaglio di materiale capace di raccontarci la storia e le storie mai raccontate: il design come non si è mai visto. Il design fatto di materiali, ricerche, disegni, prototipi, invenzioni, aneddoti, uomini e donne coraggiose, che insieme costruiscono quotidianamente la nostra storia. Un museo che pone questioni prima di dare risposte.

Leggi anche l'intervista a Luciano Galimberti che spiega il concetto di heritage

Personalmente credo molto nella divulgazione della storia del design anche attraverso le nuove tecnologie, come app e podcast. Proprio usando questi ultimi, ho recentemente curato una piccola’ storia del design, fatta attraverso la descrizione di ricordi ed emozioni che mi hanno lasciato alcune icone: un modo informale di rivolgersi al pubblico. Un modo di raccontare la storia attraverso i valori ai quali il design si riferisce e non solo alle funzioni e di coinvolgere quindi in una relazione che unisca le responsabilità personali e collettive nella scelta di un prodotto o un servizio.

Leggi qui come i podcast danno voce al design: segnaliamo anche 33 piccole’ storie di design di Luciano Galimberti

 

Foto di apertura di Andrea Rovatti, sopra di Paolo Carlini, entrambe parte di un progetto realizzato nel novembre 2013 da otto fotografi invitati dall’ADI a documentare lo stato dell’edificio che ospita l'ADI Design Museum prima della ristrutturazione.