Diventare editori significa, per un marchio, rafforzare il proprio percepito di voce autorevole nel settore. Ma per conciliare giornalismo e branded content serve trasparenza

* Valeria Raimondi, editor in chief, Fine Dining Lovers

Branded content: un’espressione talmente usata negli ultimi anni da essere entrata nel linguaggio comune, oltre che in tutti i manuali di marketing. Il suo significato, in fondo, è piuttosto semplice: un marchio che investe nella produzione di contenuti originali – siano essi articoli, video, audio o asset social. Quel che forse può risultare più difficile da comprendere è il motivo di questa strategia: perché un brand decide di diventare, nei fatti, editore?

Nel caso di Fine Dining Lovers, magazine digitale by S.Pellegrino e Acqua Panna dedicato al mondo del fine food e fine drinking online dal 2011 in inglese, poi anche in italiano, francese e spagnolo), le ragioni si possono individuare nell’ambizione di dare nuova voce al racconto dei valori e del posizionamento della marca: “Il legame instaurato con la ristorazione da S.Pellegrino fin dai primi anni dopo la sua fondazione, nel 1899” spiega il ceo del gruppo Sanpellegrino, Stefano Marini “ha fatto sì che il brand venisse riconosciuto come un’icona di quel mondo e si posizionasse come acqua da tavola dei ristoranti di qualità. Fine Dining Lovers è il luogo virtuale in cui ogni giorno il brand vede rafforzarsi il proprio percepito di voce autorevole nel settore, dando allo stesso tempo visibilità ai più talentuosi chef, ristoratori, produttori, mixologist”.

Informare e ispirare: gli obiettivi di Fine Dining Lovers, nonostante l’inevitabile trasformazione cui il sito è andato incontro in quasi dieci anni dalla messa online, non sono mai venuti meno. Senza dimenticare la natura fortemente editoriale e giornalistica del progetto, che ogni giorno prevede la pubblicazione totale di circa 15 contenuti originali, i cui format sono in costante evoluzione per intercettare gli interessi e le nuove modalità di fruizione degli utenti: articoli e interviste, quindi, ma anche video e podcast.

Proprio la forte editorialità si è rivelata nel tempo il vero valore aggiunto di questo progetto, rendendolo un punto di riferimento tra food expert e foodies che hanno premiato l’autorevolezza e la qualità di contenuti approfonditi, ben scritti e documentati.

Per nove anni Editor in Chief di Fine Dining Lovers è stata Bettina Jacomini, giornalista di grande talento che ha guidato il sito dopo un’esperienza in Condè Nast, mentre dal 2020 la direzione è stata divisa tra me e il collega Ryan King: entrambi giornalisti professionisti, siamo parte del team fin dal primo giorno e guidiamo rispettivamente le versioni locali (italiana, francese, spagnola) e quella internazionale. Oggi l’attività di Fine Dining Lovers è organizzata con un’agile redazione centrale composta da circa dodici giornalisti – tutti, inutile dirlo, foodies appassionati – divisi tra le quattro versioni del magazine, oltre a una rete di collaboratori esterni sparsi per il mondo.

Quando si parla di Fine Dining Lovers, tra i più longevi branded content project attualmente online, una delle domande che mi viene rivolta più spesso è come si possa conciliare la natura giornalistica con la libertà e l’indipendenza editoriale. Penso che la risposta sia molto semplice e si possa riassumere in una parola: trasparenza. La presenza del brand, fino a questo momento unico finanziatore del progetto, non è mai stata nascosta o taciuta ma è anzi stata esplicitata fin dal primo giorno nella testata stessa del magazine.

 

Qualora altri brand esterni dovessero bussare alla nostra porta non si esclude la possibilità di sviluppare progetti editoriali ad hoc, sempre e comunque garantendo la coerenza editoriale e la trasparenza sull’origine di queste iniziative. Allo stesso tempo, è stato chiaro fin da subito che per costruire l’autorevolezza su cui si basa il progetto non avremmo potuto filtrare’ i contenuti sulla base di una rilevanza che non fosse quella editoriale. E su questo punto anche lo stesso brand ha le idee chiare: “Più che un prezzo da pagare per la credibilità, l’indipendenza editoriale è l’unica strada possibile per fotografare sempre l’eccellenza”, ha commentato al riguardo Stefano Marini.

Cosa resta, quindi, delle testate giornalistiche tradizionali? Personalmente non considero i social media (o più in generale i progetti di branded content) come una minaccia alla stabilità del giornalismo che abbiamo conosciuto fino a questo momento. Certo, grazie ai social tutti – non solo i brand – possono comunicare in modo più semplice e immediato, ma credo che il mercato dei contenuti non potrà essere mai abbastanza saturo se questi sono davvero di qualità: non considero insomma branded content e giornalismo tradizionale due realtà mutuamente esclusive del panorama informativo, ma complementari, che possono moltiplicare le possibilità degli utenti di accedere a fonti e risorse di valore. Era il 1996 quando Bill Gates affermava che “Content is king”, trasformando questa frase in un vero e proprio manifesto. Parole che guidano il nostro lavoro, oggi come 25 anni fa.

 

In apertura: Artwork per l'articolo di Fine Dining Lovers Plant-Based Fashion is the Future.