Per portare quel nuovo di cui abbiamo bisogno, ovunque e a tutti i livelli, bisogna pensare da designer e agire da startupper, anche nelle aziende. Perché esplorare ossimori e cercare paradossi fa scaturire scintille

* Roberto Battaglia è responsabile HR della Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo

 

Far dialogare gli opposti è la forma più interessante che conosca di pensare e realizzare il nuovo.

Non si tratta solo di “unire i puntini”, per citare Steve Jobs. Esplorare gli ossimori e cercare i paradossi fa scaturire scintille, da setacciare in mezzo a un inevitabile rumore di fondo, ma sufficienti per scoprire opportunità spesso invisibili.

Cercare e creare contrasti è, in fondo, il mestiere principale di un artista o di uno chef. È una qualità piuttosto familiare ai designer e agli architetti. Non si può dire altrettanto delle donne e degli uomini d’azienda chiamati, in genere, a garantire concretezza, sostanza, affidabilità, conformità.

Questo accostamento fra dimensioni apparentemente inconciliabili è, a mio parere, una delle cose di cui occuparci oggi. E ciò è particolarmente attuale nelle organizzazioni, chiamate, ora più che mai, a un coraggioso ripensamento del loro modo di essere, di stare sul mercato, di relazionarsi con le proprie persone (che molti continuano a chiamare dipendenti).

Mi ritengo una persona mediamente curiosa. Ciò mi porta, con una certa frequenza, a pensare a nuove iniziative, a creare connessioni, ad avviare sperimentazioni.

Non sono sicuramente l'unico ad agire così: si tratta di uno stile che può essere riscontrato in molte organizzazioni. Tutto ciò può però far sorgere il dubbio che, dietro all'attivismo dettato dall'entusiasmo, manchi un disegno organico che tenga insieme il tutto, renda chiaro lo scopo e, soprattutto, produca degli effetti tangibili e non episodici.

Il mio punto di vista è che se da un lato la ricerca della concretezza e la necessità di misurare l'effetto di ogni decisione hanno una loro ragione d’essere, dall’altro si corre il rischio di buttare via il bambino con l'acqua sporca.

In altre parole, tutto ciò che non è pesabile con le metriche tradizionali, o che tende a uscire da una logica razionale e controllabile, ha una buona probabilità di essere marginalizzato perché ritenuto superfluo e fuorviante rispetto al compito primario.

Nelle aziende molti programmi di sviluppo dell’innovazione, basati su sequenze lineari e metriche per verificare l'aumento dei ricavi derivante dalle idee prodotte, pur ineccepibili nell’approccio hanno un'elevata probabilità di autoconfinarsi in una gabbia di pochi orgogliosi innovatori a tempo pieno che, prima o poi, dovranno prendere atto del loro isolamento.

Una via opposta, basata su esortazioni a diventare tutti un po' imprenditori e sul lancio di concorsi a premi dove, a orologeria, si sollecita la creatività e si premiano le idee più innovative, è a sua volta il modo più efficace di buttare al vento l’energia e il talento presenti nelle organizzazioni.

Come si gestisce allora questo rischio cercando di minimizzare gli effetti che ho appena rappresentato?

La risposta, per quanto scontata, è: dipende. Dalla cultura dell'azienda, dalla fase che sta vivendo, dalla presenza o meno di persone che, sia pure in modo latente, esprimono energia e voglia di fare. Soprattutto dall'esistenza, fra le pieghe dell'organizzazione, di snodi che abbiano capacità di aggregare consenso e influenzare le decisioni per far evolvere le cose.

Individuare efficacemente questi elementi è una questione di metodo e sensibilità.

Ho affrontato tale questione in un libro, in uscita a gennaio, che si pone il tema di come valorizzare le capacità spesso latenti presenti nelle aziende e incanalarle in una direzione, quella dell’imprenditività (cioè il lavorare con spirito e competenze imprenditoriali in ogni progetto che si intraprende), che personalmente vedo come una delle chiavi per tenere insieme dimensioni talora divergenti.

In sintesi, la mia risposta al titolo di questa riflessione è che visione e concretezza possono convivere, ma è richiesta una giusta dose di strabismo: per pensare da designer e agire da startupper.