Le piccole botteghe artigiane devono rialzarsi. Ne va del made in Italy. Ma per farlo, è necessario abbandonare la paura del digitale e imparare a usarlo creativamente. Che vuol dire non solo per vendere

* Alba Cappellieri è professore ordinario al Politecnico di Milano dove insegna Design del Gioiello e dell'Accessorio. Dal 2014 è direttore del Museo del Gioiello di Vicenza

La tentazione di dare al Covid la colpa della notte buia e tempestosa che sta vivendo l’artigianato italiano è forte. Ma la pandemia ha solo accelerato un percorso che (dati Cgia) negli ultimi 10 anni  ha portato 165.500 microaziende italiane (11,3% del totale) a chiudere i battenti. Questa è una tragedia nazionale. L’alto artigianato è infatti il tessuto connettivo del Made in Italy e una delle ragioni del suo successo nel mondo. Le piccole aziende artigiane di qualità, infatti, occupano un posto di rilievo nella vita culturale e sociale italiana e definiscono le nostre eccellenze nei settori manifatturieri del tessile, della pelletteria, del gioiello, dei vetri, delle ceramiche, dell’arredo e dei suoi complementi fino all’alimentare.

Che fare allora per salvarle?

Il primo consiglio è ovviamente economico e emergenziale. Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria, non ha esitazioni: “Occorre fare cassa accedendo alla liquidità per le PMI e alla moratoria sulla dilazione dei mutui prevista dall’Abi per l’emergenza Covid”.

Ma alla concretezza economica bisogna aggiungere uno sforzo di visione, dal basso. Che vuol dire osare, conquistare nuovi territori con lo spirito di avventura dei pionieri. Ed è qui che il design viene in aiuto. Per definire nuovi scenari creativi, produttivi, distributivi e comunicativi a supporto delle imprese artigiane, costruire network e partnership per farle crescere, sviluppare servizi integrati, diminuire i costi, valorizzare i prodotti.

Purtroppo molte di queste piccole, meravigliose imprese sono intrappolate nella retorica romantica delle mani in opposizione allo tecnologia disumanizzante. Ma l’emergenza Covid ha definitivamente dimostrato la sua fallacia. Le uniche attività non intaccate, infatti, sono quelle con una vivace presenza digitale. Le aziende che avevano creduto nell’online sono le uniche rimaste a galla e in molti casi stanno prosperando.

Il più grande ostacolo alla crescita delle piccole imprese artigiane è insomma dentro di loro. È ora di capire che, se ben pensate e progettate, le tecnologie digitali possono salvarle dagli abissi dell’oblio. Una ricerca del Politecnico di Milano che ho coordinato ha mostrato come il design possa aiutare a conciliare da un lato la lentezza del mestiere, l’amore per i dettagli, la gioia del fare, la forza delle idee e dall’altro il boosting digitale verso nuovi mercati, la creazione di nuove forme di aggregazione, di distribuzione e di comunicazione.

Perché l’online va inteso non soltanto come mera piattaforma di vendita ma come presenza digitale attiva, dove l’attività distributiva deve integrarsi con una strategia comunicativa mirata per attivare relazioni con i clienti, attuali e potenziali, comprendere se e come si sono modificati i loro comportamenti di acquisto, individuare le esperienze d’uso ricorrenti, sviluppare nuove forme di narrazione che valorizzino i prodotti e siano rispondenti ai desiderata dei clienti, rafforzare emozionalmente il legame tra il cliente e l’artigiano. Nella efficace sintesi del professore Ludovico Solima ciò si riassume in: ascolto, esperienza, empatia.

Non è facile, certo. Ma è necessario accogliere il cambiamento anziché combatterlo, perché evolversi è l’unico modo per non estinguersi. Cari artigiani, credete al digitale come avete creduto alle vostre mani!

Nella foto in apertura, tappezzeria dipinta a mano realizzata dalla designer Elena Carrozzi.