Ogni tanto, tra un pensiero e l’altro, comparivano percezioni di familiarità. Sensazioni fatte della stessa materia di quando a 5 anni osservavo la mia mano contro il sole e la vedevo tutta rosa, chiedendomi di cosa fossi fatto. O come quando nel garage di mio padre, a 6 anni, osservavo una pezza di pelle di daino che, seccandosi, aveva preso la forma del secchio su cui era stata appoggiata. Più avanti, negli anni, mi sarei chiesto se fosse un oggetto a memoria di forma o a forma di memoria... Era la stessa familiarità che si sente nel dolore, che mi ha squarciato quando ero un po’ più grande, o nell’immensa gioia di quando è nata la mia prima figlia.
È quella familiarità, con il suo senso di autenticità, che mi sono rimaste dentro dopo quel giorno.
Ed è allora che ho percepito qualcosa.
Non bisogna “sapere” meditare, non è un qualcosa legato alla conoscenza (e non è nemmeno un qualcosa). E il suo punto di partenza è la ricerca: di felicità, pacificazione, equilibrio, creatività, consapevolezza o qualsiasi altra cosa.