Populous è un pluripremiato studio di architettura internazionale con sedi in tutto il mondo, specializzato nella progettazione di stadi e architetture per eventi. Nel 2021 ha vinto la gara per il nuovo stadio di San Siro, 'casa' ufficiale delle due squadre Milan e Inter.
Al momento è polemica: non è chiaro se la città è d’accordo a un nuovo mega impianto che sostituirebbe il vecchio Meazza.
Ma il progetto è pronto: un’architettura spettacolare pensata per il futuro e solidamente radicata nei codici architettonici milanesi. Abbiamo chiesto a Silvia Prandelli, senior principal di Populous Italia, cos’è il bello per una community di tifosi, cittadini e appassionati di sport e musica.
Quali sono i temi principali nella progettazione di grandi infrastrutture collettive dal punto di vista del concept?
La sostenibilità è un tema imperativo.
Sappiamo che l’industria delle costruzioni ha un grande impatto sulle attività estrattive, sulla produzione di Co2, sullo smaltimento intelligente dei materiali di demolizione.
Progettiamo per costruire con tecniche responsabili e materiali carbon safe. Le strategie logistiche sono accurate, la tecnologia è onnipresente per garantire un calcolo pragmaticamente ecologico di tempi e risorse.
Su questo tema uno dei progetti esemplari è la Climate Pledge Arena di Seattle, la prima architettura del suo genere a essere net carbon zero certificato dal Living Future Institute. È fondamentalmente un luogo disegnato per avere un impatto minimo, sia come costruzione che come operations.
Parlando invece di sicurezza, che è uno dei problemi che ha spinto i club milanesi a pensare di sostituire il Meazza?
La sicurezza è un altro tema fondamentale.
Oggi gli stadi sono utilizzati per scopi diversi, idealmente tutti i giorni dell’anno. Ma ovviamente ci sono picchi di affluenza che vanno gestiti con un progetto dei flussi e della sicurezza in caso di emergenza.
Chi assiste a un evento sportivo o a un concerto deve sentirsi al sicuro, sapere come muoversi e avere una comprensione intuitiva del luogo.
Quindi gli stadi hanno funzioni diverse da quella di ospitare eventi sportivi o musicali?
Impossibile relegare la funzione di un’architettura di queste dimensioni e che richiede questi investimenti, anche nella manutenzione, a un uso sporadico.
Bisogna pensare a un luogo che vive all’interno di una città e di un quartiere. Dove ci sono luoghi di ritrovo, spazi per attività sociali o educative, ristoranti e bar.
Infine c’è il tema della flessibilità d’uso. Per il Tottenham Hotspur di Londra abbiamo creato una micro birreria, e un pub di quartiere.
E l’edificio può ospitare eventi sportivi diversi da quelli calcistici, adattandosi di volta in volta.
A proposito di spazio, budget e utilizzo: la tecnologia evolve molto rapidamente. Uno stadio, per quanto monumentale e scenografico, non rischia un’obsolescenza precoce?
Qualsiasi progetto di questo tipo è pensato per essere utilizzato con tecnologie che saranno in essere fra 10 o 15 anni.
È un lavoro che dipende dalle capacità predittive, ma sappiamo che qualsiasi ambito umano cambia rapidamente, è una cifra di questa epoca. E lavoriamo di conseguenza su funzioni tecnologiche aperte e aggiornabili.
Cosa significa relazionarsi oltre che con una committenza, con una comunità, con i suoi codici e le sue esigenze specifiche?
Lo stadio deve essere un’architettura viva, che si inserisce come un catalizzatore sociale in un contesto preesistente. I codici estetici sono spesso mutuati dalla cultura del territorio, le sue funzioni tengono conto dell’anima della città che lo ospita.
È un lavoro che facciamo insieme alle istituzioni, ragionando sulle esigenze specifiche e su un’idea di rigenerazione che ha l’obiettivo di trasformare il concetto di benessere comunitario.
Non pensiamo solo a tifosi e sportivi, ma ai cittadini, a chi visita la città, agli abitanti dello spazio circostante.
In molte occasioni, come è accaduto per lo stadio Fulham a Londra, si creano nuovi spazi aggregativi tenendo conto del masterplan e della morfologia del territorio.
Come viene affrontato il tema formale ed estetico?
Nel passato recente c'è stata una transizione alla progettazione di stadi funzionalmente belli, iconici, sostenibili, collegati al contesto locale.
Populous ha dei team con background e provenienze molto diverse, ma lavoriamo sempre con persone che conoscono bene il territorio e la sua cultura.
Persone 'con la mente del ladro', come diceva Carlo Scarpa, che capiscono il passato e si proiettano nel futuro per progettare un’opera che sia interessante negli anni a venire, ma radicata in codici riconoscibili.
Cos'è oggi 'bello' per una grande comunità multiculturale e transgenerazionale?
Ognuna delle nostre architetture è diversa a seconda del contesto che la circonda.
Cerchiamo di rendere i luoghi gender neutral e transgenerazionali. Diamo spazio a una bellezza che si può definire evolutiva: per il luogo, per le persone e il loro benessere, per l’uso.
Facciamo analisi sociali, ci confrontiamo con i segni visivi preesistenti e con le comunità. Il nostro è un lavoro di architettura civica, nel quale la città si deve riconoscere per evolvere.