Instagram ha reso l’architettura inutilmente focalizzata sull’effetto stupore? Secondo la scenografa Margherita Palli non è così vero

Scenografia e architettura. Due mestieri diversi, con insospettabili analogie, soprattutto in tempi in cui la cultura visiva prende il sopravvento. Abbiamo chiesto alla scenografa Margherita Palli di chiarire quali sono i punti di contatto oggi.

Qual è la differenza tra scenografia e architettura? E come dialogano le due discipline?

Margherita Palli: "Non sono due professioni distanti, fino agli inizi del ‘900 architetti e scenografi studiavano nello stesso luogo: l’Accademia di Belle Arti.

È solo alla fine degli anni Venti che viene istituita la facoltà di architettura e, di conseguenza, progettare edifici diventa un mestiere tecnico più che artistico. È un fatto interessante, perché in realtà da sempre l’architettura è scenografica, emozionante, portatrice di un racconto.

In Italia in modo particolare non esistono luoghi privi di questa qualità. Ne le bene e nel male.

C’è un racconto scenografico in una chiesa barocca, in un palazzo palladiano, nelle rovine romane. Ma c’è anche nel Villaggio Coppola vicino a Caserta, dove è stato girato Dogman, il film di Matteo Garrone sulla vicenda del Canaro della Magliana. Un luogo oggettivamente brutto e inquietante scelto per narrare un fatto umano con un sapore del tutto simile.

E non va dimenticato che ci sono personaggi che hanno svolto spontaneamente entrambe le professioni.

Il vero discrimine è la parte estetica: deve essere funzionale. Se un’architettura è brutta, non lo è per il suo contenuto scenografico, ma per l’incapacità di svolgere autenticamente la sua funzione, ovvero di essere un’espressione originale della cultura contemporanea".

Lo stupore e la meraviglia sono ambiti soprattutto della scenografia. Quali sono gli strumenti progettuali utili per un buon progetto scenografico?

Margherita Palli: "L’idea, lo sviluppo tecnico, la costruzione. Mentre un architetto ha un committente, lo scenografo ha un teatro, un regista, un testo, una musica. Gli scenografi hanno un controllo totale dell’ambiente e di quello che vi succede. Insieme al regista decidiamo cosa c’è su un tavolo, cosa mangiano gli attori in una scena, dentro quali piatti.

Quando mi sono occupata di una messa in scena de La cena delle Beffe al Teatro della Scala, ho progettato un edificio a più piani semovente, un palazzo a tre piani che per esigenze narrative saliva e scendeva e diventava di volta in volta lo sfondo per i diversi atti. Era una vera e propria architettura, con spazi definiti.

Siamo in fondo dei falsi architetti, ricostruiamo, copiamo, mischiamo per inventare degli spazi. Il che non è male, perché la natura del nostro lavoro ci obbliga a creare progetti effimeri e trasportabili. Quindi se una scenografia è brutta, non ha importanza, è destinata a scomparire. Invece le brutte architetture rimangono".

Cos’è brutto, quando si parla di scenografia e architettura?

Margherita Palli: "Il brutto è ciò che scimmiotta un’idea, la brutta copia di una cosa bella.

In Italia siamo fortunati, è pero, ma abbiamo avuto anche qui le nostre bruttezze. Che però poi non durano, non sono conservate, come succede ai brutti libri e ai brutti quadri.

Io penso che ci siano sempre state delle architetture che si possono definire delle porcherie scenografiche. Ma per fortuna sono destinate a sparire.

Non è un fenomeno contemporaneo e la predominanza della cultura visiva suggerita dai social non ha niente a che fare con questo. Il Teatro Regio di Torino è una meraviglia, l’Opera Bastille è un progetto poco funzionale e poco interessante. Il tempo deciderà cosa sopravvive e cosa no.

La bellezza, nelle scenografie come in architettura, emoziona. Qualsiasi sia la sua natura.

Forse è una questione di sensibilità personale, ma quando vedo la Stazione Centrale di Milano, costruita in periodo fascista e universalmente considerata un’architettura modesta, mi emoziono. C’è una capacità narrativa enorme, una presenza scenografica potente che fa da sfondo a un luogo in cui inizia o finisce un viaggio.

La Fondazione Prada ha qualità simili, pur essendo un luogo contemporaneo e indubbiamente scenografico. È emozionante.

Così come lo è il Papa che da solo attraversa Piazza San Pietro durante la pandemia: un Papa molto ben vestito in un luogo molto bello. Una grande emozione. Ma ripeto, forse è solo una questione di sensibilità individuale".

L'estetica social, che non ammette imperfezioni e predilige appunto un attitudine scenografica, ha influenzato l'architettura?

Margherita Palli: "In Italia ci si lamenta molto di qualsiasi cosa. In realtà credo che i social abbiano diffuso cultura e abbiano contribuito a far conoscere bellezze a cui prima non avevamo accesso.

Sono piuttosto nerd e molto curiosa. Mi diverto con il digitale. Osservo, guardo i profili degli architetti e dei scenografi che amo, scopro cosa guardano, cosa li ispira.

E mi dico: toh che bello. A mia volta uso le immagini che scorrono su Instagram per trovare idee, per studiare e per raccogliere idee e informazioni. Ho lavorato alla messa in scena di una Fedora ambientata nella casa di autarca russo: senza Instagram non avrei saputo da dove cominciare.

La tecnologia ha messo a disposizione degli strumenti interessanti, che migliorano la creatività. Ero una pessima fotografa, adesso mi diverto a scoprirmi più brava, a modificare le mie foto modeste per renderle più interessanti.

Ovviamente Instagram ha cambiato il modo di lavorare dei progettisti. Quando progetto il layout di una mostra non posso fare finta che i social non esistono. Ma questo ha effetti positivi: c’è una bellezza più diffusa, che raggiunge persino i piatti di cucina in  cui si mette cura estetica. Non trovo che sia un risultato negativo.

Idem per il processo di progettazione. Usiamo i computer e alcuni dicono che abdichiamo a una creatività reale e spontanea. Ma non è vero: siamo più veloci, più precisi e efficienti".