C’è un’emozione speciale che chiunque abbia lavorato anche solo un giorno nella redazione di un quotidiano ricorderà per sempre. È la gioia di “chiudere” il numero e mandarlo in stampa, con la presunzione di avere riassunto in quelle pagine un mondo – certe volte, con un filo di sana arroganza, il mondo. Sapendo benissimo che dal giorno dopo nulla vale più, e che bisogna ricominciare daccapo.
Quell’emozione rivive chiarissima nelle parole di Luca Lo Pinto. Che non è un giornalista, ma il direttore artistico del MACRO, il Museo per l’Immaginazione Preventiva di Roma che, da quando questo trentanovenne cosmopolita ne ha raccolto la guida (dandogli quel nome), s’è trasformato in una sorta di magazine, sempre uguale e sempre diverso. Un palinsesto di iniziative, mostre, podcast, newsletter, talk e molto altro che sono come le rubriche di un settimanale: fidelizzano, appassionano, specchiano il pubblico – sempre più giovane, peraltro – in un contemporaneo filtrato da una continuità allo stesso tempo pensata e improvvisata, spesso sbarazzina ma sempre lungo il filo della coerenza tipico di un prodotto editoriale dall’identità chiara e forte.