Terreno dopo terreno, sperimentazione dopo sperimentazione, siamo andati in cerca di chi, dell’agricoltura ha fatto un progetto di vita: quindi una passione e un lavoro, innovando il concetto stesso di coltivazione. Quattro storie, raccogliendo visioni dal progetto di agricoltura sociale Xfarm, dal conservatorio botanico dei Giardini di Pomona, dal giardino di Laura Bianchi e dagli orti stellati del giardinerie culinario Enrico Costanza.
Partiamo dal Sud Italia dove, in un terreno confiscato alle mafie, nasce il progetto Xfarm, azienda agricola fondata da una cooperativa sociale. “Volevamo prendere questo luogo, simbolo negativo e abbandonato da immaginazione e idee di sviluppo, e trasformarlo in un manifesto di buone pratiche” – racconta Marco Notarnicola, uno dei fondatori – “Volevamo partire dalla terra come agente per lo sviluppo del territorio. Nessuno di noi aveva competenze agricole quando abbiamo iniziato e questo ci ha permesso di approcciare le pratiche agricole vecchie e nuove senza abitudini né pregiudizi. Ci siamo messi in rete e, mentre ci formavamo, creavamo contesti di apprendimento anche per altri e altre giovani del territorio.”
Il cominciare, nonostante non si abbiano tutte le competenze, è un elemento che accomuna molte storie di ritorni alla terra: si apprende sul campo, mettendo in circolo i saperi, guardando a esperienze innovative e cercando una sostenibilità olistica. “Xfarm sperimenta un’agricoltura organica e rigenerativa: l’azione di chi coltiva deve contribuire a rigenerare e non a distruggere l’ecosistema nella sua complessità. – continua Marco Notarnicola – Partiamo dal suolo, per garantire biodiversità e da lì puntiamo a creare ecosistemi che si rigenerino, che non siano indeboliti da coltivazioni intensive e da continui interventi chimici. Produciamo cibo ma soprattutto dimostriamo che si può avere un diverso rapporto con le nostre terre. E che si può farlo come comunità.”
Sempre in Puglia si è sviluppato un altro progetto agricolo incredibilmente suggestivo, si tratta del Giardino di Pomona, situato in Valle d’Itria e dedicato a coltivare e preservare le diversità fruttifere. A chi è abituato a cercare nutrimento nella grande distribuzione sembrerà inimmaginabile che possano esistere oltre 600 varietà di fichi e altrettante di meli, agrumi e altri frutti antichi.
Paolo Belloni, fotografo e fondatore di questo conservatorio botanico racconta l’inizio dell’avventura: “L’innesco è stato il Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992: prima conferenza mondiale sull'ambiente. Si sente parlare in modo globale di salvaguardia della biodiversità e inizio ad occuparmi di documentare le moltissime specie di frutti antichi. Attratto subito dal fico, raccolgo numerose varietà di piante. Nella ricerca di una terra dove poter sperimentare e preservare questa “collezione” guardo al Sud, la grande banca genetica d’Italia dove si possono ancora trovare varietà inusuali tra terreni abbandonati e ville padronali.”
L’esperienza di Paolo Belloni ci riporta nuovamente in un mondo in cui la passione inizia da un approccio intellettuale e creativo, per sentire poi l’urgenza di mettere a terra, letteralmente, la propria visione. A far andare avanti è un misto di cocciutaggine e il piacere di sapere che, errore dopo errore, si riescono ad ottenere risultati. Pomona è una pratica che raccoglie esperimenti e persone intorno all’idea che “si possa trasmettere alle future generazioni un patrimonio che ha richiesto millenni di interazione uomo-natura a formarsi e che si sta dissolvendo a grande velocità. – continua Paolo – È l’esempio che si può coltivare in aridocoltura, trattando il problema dell’acqua come un tema collettivo, e che occorre investire energia nella rinaturalizzazione di suoli per invertire e rallentare i processi di desertificazione.”
Muoviamoci ora verso Nord, per andare a trovare una giornalista di moda che ha deciso di abbandonare Milano per trasferirsi in Liguria. È Laura Bianchi, autrice del libro L'erba corre quando vuole, che ci racconta il suo approccio al giardino mentre produce talee di aromatiche.
“Dopo un incidente mi ritrovo a non poter lavorare e mi sfogo con lunghe passeggiate in Liguria. È in queste passeggiate che scopro e mi innamoro di un terreno selvaggio. Riesco a comprarlo e, facendo pulizia del giardino, facevo pulizia anche nella mia testa e diventavo più sicura di ciò che posso fare contando sulle mie forze. Il giardino mi ha aiutata a perdonarmi per gli errori che facevo ma ha anche cambiato la mia visione bucolica: oggi so che ogni paradiso nasconde degli imprevisti. Accettare che non sono io a comandare ma che è la Natura ad avere l’ultima parola, è stato fondamentale.
Oggi continuo questa simbiosi con la terra e progetto come trasmetterla ad altri: con il mio compagno abbiamo da poco aperto una one room hotel, immersa in 2000 metri di macchia mediterranea. Nella mia Piccola Zoagli è come se estendessi l’accoglienza che mi ha dato questa terra agli ospiti, creando esperienze e coccole su misura.”
Se l’esperienza di Laura Bianchi parte con una necessità personale per poi trovare una sostenibilità economica inventandosi un’idea diversa di accoglienza, c’è chi guarda alla coltivazione come una ricerca che dialoga con l’alta ristorazione. È il caso di Enrico Costanza, giardiniere e ortista ma soprattutto sperimentatore di ortaggi.
“Mi sembrava che mancasse un tassello tra la cucina e la coltivazione e ho pensato a questa professione del culinary gardener come a colui che entra in cucina, assaggia, dialoga con gli chef e poi unisce al loro lavoro la sua ricerca sui vegetali.” Dopo un’esperienza coltivando l’orto per lo chef vegano Simone Salvini, Enrico si sposta dallo chef Crippa diventando per quattro anni il responsabile dell’orto del ristorante stellato Piazza Duomo.
“Oggi sono consulente per diverse realtà: mi muovo tra vecchi ricettari, antichi erbari e cataloghi di semi per andare in cerca di ortaggi e sapori dimenticati, creo mappature e calendari di erbe spontanee ma sperimento soprattutto con i momenti di raccolta. L’agricoltura non è naturale, tutto ciò che portiamo in tavola è un’invenzione umana, secolo dopo secolo l’uomo ha selezionato le varietà che gli servivano e ha scelto il gusto stabilendo quando raccogliere quel frutto o ortaggio, quanto farlo maturare e come conservarlo.”
Quattro storie, diversi territori, diverse competenze di partenza, diversi obiettivi e sogni. Eppure, un modo simile di rapportarsi alla terra, senza sprechi, senza prodotti chimici, con rispetto nel rispetto delle logiche dell’ecosistema.
Queste nuove figure di giardinieri e giardiniere, agricoltori e agricoltrici, si pensano meno come a dei governatori del terreno e più come ad uno organismo che coopera con gli altri, siano essi umani, vegetali, animali e microbici. Come ha sottolineato Paolo Belloni “Il più grande insegnamento è che tanto più si mantiene la complessità e più si mantiene l’equilibrio, più si semplifica e più si indebolisce l’ecosistema.”