Da una calamità naturale può nascere un Nuovo Patrimonio. Lo racconta il progetto di una fotografa che sta esplorando il Centro Italia con un’idea: fare rinascere i luoghi dimenticati  

In lontananza noti qualcosa di strano che spunta dalla collina, ti addentri nell’intrico di vie di un piccolo paese marchigiano, giri l’angolo con la macchina e vedi una manciata di travi color giallo fluo che si stagliano addossate sul fronte di una chiesa medievale, dividendone la facciata in sei porzioni uguali, come se seguissero un ritmo e un’estetica bilanciata, tutta loro.

Nel Centro Italia colpito dal sisma capita spesso di imbattersi in edifici puntellati. All’inizio ti vien male a pensare a tutti i beni sfigurati del nostro patrimonio, poi, nella lentezza inesorabile di un tempo che in quei paesini sembra essersi cristallizzato, inizi a scorgere un segnale dietro a quegli interventi. È la nascita di uno sguardo nuovo, di nuove domande che ti attraversano.

Cosa custodiscono quei simboli del territorio? A chi sono dedicati? Di quali riti sociali sono e saranno testimoni? Alla stregua dei colossi impacchettati di Christo e Jeanne-Claude, quei borghi di passaggio sono lì per dirci qualcosa della loro storia e per farci pensare al loro possibile futuro. Qualcosa da ascoltare e comprendere per riprogettare il loro senso e, insieme, il nostro.

C’è chi sta facendo tesoro di questo “nuovo” paesaggio. La fotografa Flavia Rossi, una laurea in Architettura a La Sapienza di Roma e un master in Fotografia allo IUAV di Venezia, sta immortalando a più riprese gli effetti devastanti del terremoto che nel 2016 ha colpito il Centro Italia. Attraverso gli scatti della serie Nuovo Patrimonio, realizzata con la collaborazione dell’architetto Giulio Luccioni, vuole ridare dignità ai beni culturali e architettonici disseminati nelle terre dov’è nato il Rinascimento e sta pensando a soluzioni per fare ripopolare i territori e far rivivere il patrimonio artistico che racchiudono. Rossi documenta gli interventi di consolidamento installati a sostegno dei beni danneggiati e, nelle sue foto, li legge come un nuovo paesaggio temporaneo, un Nuovo Patrimonio, appunto, dal titolo del progetto iniziato nel 2016 e tuttora in corso, in cui le sovrastrutture provvisorie diventano elementi stessi delle architetture.

“È un progetto paradossale con cui rifletto sui concetti di provvisorio e di permanente, perché le opere provvisionali sono ormai diventate parte integrante di questi edifici, come fossero un tutt’uno, resteranno lì per lungo tempo, forse per sempre, a causa delle ingenti spese previste per le ristrutturazioni”, dice Flavia Rossi, “cerco sempre di avere molto rispetto nel raccontarli, sia nel modo di fotografare sia quando parlo con gli abitanti del posto. Non vorrei che questi luoghi perdessero la dignità che ho sempre il piacere di riscontrare”.

Paesini che si stanno spopolando ed edifici che resteranno puntellati nel cuore di un territorio simbolo del Paese e lontano dal turismo, che promuove le grandi attrazioni. Chiese, edifici e luoghi simbolo della comunità non più identificabili, ma in cui la vita sociale dei luoghi, per ora, viene ugualmente vissuta, con nuovi riti. “L’episodio più toccante a cui ho assistito è accaduto la notte di San Lorenzo, a Norcia, nel 2018. Per festeggiare il Santo, di fronte la chiesa di San Lorenzo, inagibile, sono arrivati in molti e hanno fatto una festa con un lunghissimo tavolo, per stare insieme con un senso di comunità e condivisione che non deve andare perso”.

Del Nuovo Patrimonio di Flavia Rossi fa parte anche il nuovo costruito, ovvero, quegli edifici che sono stati progettati per riaccogliere le comunità e il commercio. Soluzioni nate per essere temporanee, ma che molto probabilmente diventeranno permanenti, come il nuovo Villaggio per le attività produttive ed economiche a Castelluccio di Francesco Bellini, “dove il terremoto ha cancellato quasi tutto”, dice Rossi, “un centro che permette ai piccoli produttori e i commercianti locali di continuare tutte quelle attività produttive che si sono interrotte a causa del devastante terremoto. Un nuovo costruito che probabilmente sarà permanente, anche se era stato pensato come un’architettura provvisoria”. 

O come il Centro polivalente e di protezione civile di Stefano Boeri Architetti, sotto Norcia, messo sotto sequestro dalla Procura di Spoleto con l’accusa di essere stato costruito in un territorio sotto vincolo paesaggistico. Una querelle che si è battuta proprio sulle definizioni di temporaneo e permanente, perché l’accusa contestava il fatto che il centro dovesse, per legge, essere costruito come temporaneo, invece sembrava essere permanente. Fatto sempre smentito dallo studio, tanto che l’architetto è stato assolto in primo grado.

Una storia, quella del Nuovo Patrimonio, che racconta anche delle opere prelevate all’interno delle chiese e messe in salvo nel deposito di Santo Chiodo a Spoleto, struttura gestita dalla Regione Umbria e concessa in comodato d’uso al Ministero della Cultura. “Tele, suppellettili e oggetti provenienti dall’Umbria e dall’Abruzzo in seguito agli eventi sismici del 1997 e del 2016 che avranno traiettorie future ignote, si trasformano in oggetti erratici, e che per la maggior parte giacciono ancora impacchettate”, dice Rossi. Per lei una delle soluzioni potrebbe essere quella mettere il materiale in mano agli artisti, per dare un nuovo corso sia alle opere sia ai territori che le hanno viste nascere, che le hanno custodite nel corso della storia, che sono stati il paesaggio che ha accolto i riti che hanno unito le comunità per secoli.

Un’idea che non prevede solo la conservazione, ma un progetto che guarda lontano. “Potrebbe essere interessante che qualcuno organizzi un piano di residenze artistiche, finalizzato alla creazione di nuove opere e all’utilizzo di quelle preesistenti. E, una volta ripristinata la sicurezza, pensare all’istituzione di nuovi poli museali per queste opere nei luoghi originari, per dare vita a una forma di riappropriazione civile prima che i borghi si svuotino del tutto”.