Progettare empaticamente
Occorre progettare con sguardo ed empatia che non pensa a un utente unico ma che si mette in ascolto e accoglie la complessità per far fronte alle diverse esigenze. Occorre valorizzare le esperienze spontanee e i presidi femministi – come le esperienze di Lucha Y Siesta a Roma, dell’asilo nido autogestito.
Soprasotto a Milano, le pianificazioni del gruppo RebelArchitette, gli esperimenti di bilanci partecipativi o di urbanista tattica attivi in numerose città o dei movimenti dal basso come Take Back the Night, i Pride Strikes in India, le Slutwalks e le proteste di #Cuéntalo.
Tutti questi esempi intervengono nel colmare i buchi di servizi cittadini e nel rivendicare i diritti delle donne e di altri gruppi emarginati dallo spazio urbano.
C’è una ricetta per trasformare i dispositivi urbani in ambienti inclusivi? No, ma tornando a Leslie Kern "se iniziamo a capire che la città è impostata per sostenere un particolare modo di organizzare la società – attraverso il genere, la razza, la sessualità e altro – possiamo iniziare a cercare nuove possibilità.
Ci sono infinite opzioni per creare spazi alternativi. La città femminista è un progetto ambizioso, senza un piano 'maestro'. La città femminista è un esperimento continuo per vivere in modo diverso, migliore, più giusto in un mondo urbano".