Tra gli ultimi arrivati ci sono i fondi di caffè impiegati come plastica naturale, i gusci delle fave di cacao con cui si fabbricano pannelli per l’arredo, il feltro sintetico riciclato per dare vita a sedie e altalene. E, ancora, i funghi che, applicati agli scarti di cotone e canapa, generano materiale per pannelli fonoassorbenti. Dalle bucce di ananas si ottiene, invece, una pelle vegana che non ha nulla da invidiare alla texture della pelle di rettile e può essere cucita, forata e tinta secondo il gusto, mentre la pula e la lolla di riso diventano, miscelate con argilla e calce, l’ingrediente per un biointonaco dalle ottime prestazioni.
Benvenuti nel mondo dei nuovi materiali ecologici, quel catalogo in continuo divenire su cui startupper, designer e addetti ai dipartimenti Ricerca e sviluppo fissano, ormai quasi ogni giorno, soluzioni inedite per l’architettura, il design, la moda. Un mondo sfrangiato e dalle mille possibilità, dove la prima regola è il coraggio ma non sempre alla scommessa (e a un brevetto, che mai come in questo campo è soltanto il passo iniziale e non un traguardo) segue l’esito felice dello sbocco sul mercato e della commercializzazione.
“Fondamentalmente, sono tre le molle che permettono a un neomateriale di uscire dal mondo della ricerca e trovare un posto nel mercato”, spiega Anna Pellizzari, executive director di Materially, l’agenzia che aiuta le imprese nello sviluppo e nella diffusione dell’innovazione e della sostenibilità a partire proprio dai materiali, autrice quest’anno di Neomateriali nell’Economia Circolare 2.0 (Edizioni Ambiente).
“La prima spinta, determinante, è senz’altro la convenienza economica: un’azienda impiega un materiale eco se il suo costo è pari o di poco superiore all’alternativa tradizionale, o se comunque lo sforzo è compensato da un altro tipo di vantaggio, per esempio in fatto di comunicazione e visibilità. L’opinione pubblica, infatti, può rappresentare una seconda molla determinante nel far pendere l’ago della bilancia a favore di questo tipo di investimento. La terza molla, più scontata ma spesso decisiva, è la legge: quando le normative obbligano a percorrere la via della sostenibilità, non resta che attrezzarsi. A quel punto, le aziende sanno di poter attingere a un catalogo di soluzioni sperimentate da chi ogni giorno dedica lavoro e cura per aiutare l’industria a compiere scelte davvero ecologiche”.
Un saggio di questo catalogo è stato, all’ultima settimana milanese del design, la mostra WasteEnders curata da Pellizzari nello spazio di Materially al SuperstudioPiù, dove trovavano posto le storie di marchi come Cofeefrom, Kajkao, Madrepora, Mogu, Ricehouse, Verabuccia e di molte altre aziende.
Una quarta molla può essere la voglia o la necessità, per un’azienda, di rinnovarsi e tentare nuove strade, allargando processi e know how e diversificando l'offerta a partire proprio dalla sostenibilità. È da questo impulso che è nato Skin, il nuovo rivestimento per l’interior e l’architettura che Alessandro Ciffo ha firmato da poco per Sargomma. Da un lato l’artista/designer famoso per avere portato il silicone nelle gallerie con le sue creazioni ironiche e coloratissime. Dall’altro un’azienda piemontese con quarant’anni di storia nel mondo dell’automotive, specializzata nella lavorazione di componenti in gomma e plastica.
“Ho visto i vasi di Ciffo alla galleria Dilmos a Milano” racconta la general manager Brigitte Sardo “ed è stata una folgorazione. Dietro a quelle creazioni c’era l’inventiva che poteva interpretare la nostra azienda e portarla qualche passo più avanti, verso soluzioni nuove impiegabili sia nell’architettura sia nell’automotive, un settore dove la personalizzazione degli interni apre scenari sempre più interessanti per una realtà come la nostra”.