Nella mostra Recycling Beauty, presentata dalla Fondazione Prada a Milano, la bellezza non è né immobile né intoccabile, spiega Giulio Margheri di OMA che ha curato l’allestimento

Abituati a un’idea statica e intoccabile di bellezza classica, la mostra Recycling Beauty mette i visitatori davanti a una realtà diversa.

La riflessione del curatore Salvatore Settis, terza in ordine di tempo per la Fondazione Prada dopo Serial Classic e Portable Classic, evoca una classicità che non disdegna il riuso e il riciclo. Che modifica i significati simbolici di opere antiche ricontestualizzandole senza timore. Togliere, aggiungere, sostituire la testa di un dio con quella di un imperatore… Tutto è lecito e tutto è mutevole. Ma rimane bello.

Il progetto espositivo di Recycling Beauty, alla Fondazione Prada fino al 27 febbraio, è stato ideato da Rem Koolhaas/OMA con Giulio Margheri. Abbiamo chiesto all’architetto associato di raccontarci come cercare un senso alla bellezza oggi.

Ci racconta com'è nato il progetto di layout di Recycling Beauty?

"È stato un processo lungo, durato circa due anni, durante i quali abbiamo lavorato a stretto contatto con il team curatoriale per capire come sviluppare il progetto. Recycling Beauty nasce come un nuovo capitolo in un’ampia riflessione sulla bellezza classica curata da Salvatore Settis con Anna Anguissola e Denise La Monica.

Per il progetto Recycling Beauty, abbiamo iniziato con l’ipotesi curatoriale e con una lista di possibili opere suddivise per famiglie, che si è poi sviluppata nel tempo.

Abbiamo iniziato a pensare a come rispondere e supportare l’idea del team curatoriale dal punto di vista dell’allestimento attraverso diverse idee e proposte.

Il professor Settis e l’intero team curatoriale sono stati profondamente coinvolti nel processo di progettazione, stimolando la conversazione e rispondendo alle nostre proposte".

Un aspetto fondamentale che abbiamo dovuto affrontare lavorando all’allestimento è stato il tema della scala: nella mostra si passa da manufatti molto piccoli, come la Tazza Farnese (II secolo A.C.) che ha un diametro di circa venti centimetri, a scale macroscopiche, come la ricostruzione del Colosso di Costantino alto più di 11 metri.

Un altro elemento cruciale che ha informato il progetto è stata la velocità, intesa come il tempo che ogni visitatore avrebbe dedicato alla visione dei manufatti. Abbiamo usato un'idea di study room, per suggerire una permanenza lunga e riflessiva negli ambienti espositivi. Ogni opera in mostra ha bisogno di essere compresa, nelle sue modifiche, aggiunte e sottrazioni formali, che dipendono da un riuso funzionale dell’arte, dai suoi itinerari geografici e storici.

I modelli sono stati uno strumento fondamentale per decidere come predisporre le opere nello spazio.

Abbiamo realizzato modelli in scala ridotta del Podium e della Cisterna, che abbiamo portato con noi agli incontri curatoriali, e, in un secondo momento, abbiamo prodotto modelli in scala 1:1 delle piattaforme espositive, dei tavoli, e degli artefatti, che abbiamo utilizzato per visualizzare la relazione tra i displays e gli oggetti.

Esiste quindi una precarietà dell'arte e della bellezza: persino l'opera d'arte di si può riusare. Abbiamo coltivato l'idea che la bellezza non possa essere funzionale?

In Recycling Beauty ci sono esempi diversi di come la bellezza prende forma.

Alcuni pezzi sono il frutto di una trasformazione, nati con una funzione e modificati per assumere un valore semantico diverso. Alcune delle opere invece sono il risultato di una distruzione, come i Mosaici cosmateschi di Anghiari per i quali sono stati utilizzati frammenti di statue preesistenti.

La definizione di bellezza qui è che ogni pezzo è qualcosa che in origine non era. Viene raccontata la bellezza della trasformazione, che va oltre la bellezza estetica. Abbiamo cercato di tradurre quest’idea con i dispositivi allestitivi e espositivi, dando ampio spazio non solo ai titoli, ma a testi descrittivi che spiegano l’origine, l’evoluzione e gli itinerari di ogni opera.

Un altro elemento molto importante all’interno della mostra è il viaggio.

Le opere nel corso della loro esistenza si sono spostate, hanno cambiato senso e funzione. In ogni nuovo contesto, è cambiata la loro percezione.

Per questa ragione si incontrano diverse mappe all’interno del percorso espositivo, e questo aspetto  è enfatizzato presentando le opere appoggiate sulle basi adibite a movimentazione e trasporto, per ribadire l’idea di una bellezza trasformata e nomade.

Recycling Beauty parla della bellezza classica e della sua trasformazione attraverso il riuso. Esistono esempi analoghi a quelli esposti in Recycling Beauty in architettura?

Nel catalogo della mostra c’è una sezione dedicata all’architettura. Un capitolo fotografico all’interno del catalogo in forma di un portfolio che illustra il riuso architettonico utilizzando alcuni casi di architettura antiche in Italia.

Ma è un tema molto comune anche nell’architettura contemporanea.

La stessa Fondazione Prada ne è un esempio: è nata all’interno di spazi pensati per una funzione diversa. Il suo progetto ha riflettuto su una riorganizzazione degli spazi che sottende un livello di trasformazione dove l’architettura è stata reinterpretata, togliendo e aggiungendo.