L'imprenditore racconta i suoi primi vent’anni alla guida di Carl Hansen & Søn

A Knud Erik Hansen piace molto essere il ceo di Carl Hansen & Søn. Ne parla volentieri. È con piacere che mostra la sua azienda sull’isola danese di Funen, ne spiega i processi produttivi equamente divisi tra artigianato, robotica e macchine a controllo numerico. Ne decanta la sostenibilità, gli impianti di riciclo degli scarti che danno energia a tutta la zona. Poi si ferma per accarezzare lo schienale di una Wishbone Chair e il senso del suo lavoro per l’azienda di famiglia diventa lampante. Non è solo l’orgoglio di aver raggiunto risultati straordinari - 6.700.000.000 euro di crescita in due decenni, 550 impiegati in più in Danimarca e un numero simile nella sede vietnamita. Quella di Erik Hansen è una vera passione per il design e per le sfide.

Nel 2002 l’azienda aveva 55 operai. Produceva dei pezzi di una bellezza intramontabile, solidi, eterni. Tutto funzionava bene: non c’erano perdite economiche ma in realtà non c’era neanche un accenno di visione strategica. Purtroppo non si sopravvive così: la crescita è il motore dell’innovazione, il modo in cui l’impresa si adatta ai cambiamenti”.

Qual è stata la sua visione?

C’erano molte aziende simili alla nostra all’epoca, con cataloghi pieni di bellissimi arredi di design prodotti dagli anni Cinquanta in poi. Ma nessuna di loro stava crescendo. Ho cercato quindi di concentrare la loro produzione nel nostro catalogo, rilevando marchio dopo marchio, affinché Carl Hansen & Søn diventasse veramente un brand in grado di rappresentare il design danese storico.

Hans J. Wegner, Kaare Klint, Arne Jacobsen, Børge Mogensen, Bodil Kjær, Frits Henningsen, fra gli altri. In ultimo anche Foyer, una riedizione di sedute di Vilhelm Lauritzen…

La serie Foyer e la sedia Vega sono state progettate per arredare due edifici iconici di Copenhagen: Radio Huset, che ora ospita il conservatorio, e il Vega, oggi uno spazio per concerti. Sono felice che tornino a essere prodotte e il redesign dello studio Lauritzen le ha trasformate in arredi contemporanei senza modificarne l’intelligenza e la bellezza originale”.

Lei ha una visione molto chiara di quello che è e dovrà essere Carl Hansen & Søn. Come si immagina la sua azienda fra dieci o vent’anni?

Sono una persona ottimista e mi piace costruire. Ho molta esperienza nel management in settori altamente competitivi e ho messo la stessa energia nella gestione del marchio di famiglia. Volevo un’azienda capace di crescere, di conservare e di restituire in termini di sostenibilità, di economia e di cultura. Credo di aver fatto le scelte giuste, dal punto di vista strategico. Mi sono occupato soprattutto di rendere flessibile e fluido l’approvvigionamento delle materie prime, in modo da essere autonomi. La mia forza è quella di dover rispondere solo a me stesso: sono libero di fare quello che ritengo più opportuno. E quando sarà il momento, sarò felice di lasciare il posto a mio figlio.

Cosa pensa del made in Italy?

Ho ottimi rapporti con molti imprenditori italiani. E in passato ho studiato con meraviglia e un po’ di invidia la loro produzione e la loro competenza manifatturiera. Ma devo dire che a questo punto non mi fanno proprio più paura: sono un ammiratore sereno del loro lavoro.

A cosa serve il design?

Il design serve a farci stare bene. Quando sono a casa, seduto su una delle mie sedie, ne sento la solidità, ne vedo la bellezza e la correttezza: e sono felice.