La direttrice del Mumac, il museo del caffè di Cimbali, racconta come è cambiato il design delle macchine per il caffè da fine Ottocento a oggi

A Binasco, vicino Milano c'è il Mumac, il museo del caffè del Gruppo Cimbali che racconta l’evoluzione delle macchine da caffè professionali dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri.

A dieci anni dall'inaugurazione, il Mumac è stato rinnovato grazie a una ristrutturazione, opera di Antonella Andriani e Ambrogio Rossari, che ne hanno riorganizzato il percorso espositivo, aumentato la leggibilità e promosso l'interazione con il suo variegato pubblico.

I due hanno lavorato in un'ottica di riuso dell'esistente e upcycling, sfruttando partizioni ri-configurabili come conviene a un museo contemporaneo e quindi in continua evoluzione.

Cosa c'è da vedere al museo del caffé, Mumac?

Lo racconta Barbara Foglia, manager del Mumac: "Le prime macchine di fine Ottocento-primi del Novecento sono modelli a vapore e a colonna, non orizzontali come quelli a cui siamo abituati.

A inizio Novecento le macchine sono in puro stile Liberty, con fregi e smalti che riproducono le piante e i chicchi del caffè, decori che hanno lo scopo di divulgare e rappresentare una materia prima esotica allora poco nota.

I primi macchinari sono a vapore, con temperature sui 100 gradi che bruciano il caffè, che risulta dunque nero, amaro e bollente. Si deve aspettare il Secondo Dopoguerra per degustare la crema caffè che conosciamo oggi, grazie all’invenzione della leva, un meccanismo che consente di erogare il caffè in modo veloce e ad alta pressione, senza usare il vapore ma con l’acqua intorno ai 90 gradi".

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Macchine da caffé come sculture

Facendo un passo indietro, fra le due Guerre Mondiali si evolve lo stile razionalista e futurista, con macchine che sembrano sculture in movimento: "Il primo progetto firmato da un designer celebre è la DP 47 del 1947, di Gio Ponti per la Pavoni, ribattezzata la Cornuta per i gruppi erogatori a forma di corna che ricordano i bolidi del futurismo.

Nel Secondo Dopoguerra il design strizza l'occhio all’American style, le macchine assomigliano ai radiatori delle Cadillac, ai jukebox, con finiture scintillanti in ottone lucidato, sono degli oggetti meravigliosi protagonisti sul bancone.

Nel 1962, sessant’anni fa, i fratelli Castiglioni progettano la Pitagora per Cimbali, l’unica macchina per caffè che ha vinto il Compasso d’Oro, la prima prodotta in serie, dalle linee rigorose, con una carrozzeria di soli 17 pezzi assimilabili velocemente, facile da manutenere perché si può aprire come il cofano di un’auto".

Negli anni Settanta subentra la Pop Art, i primi materiali plastici e i colori, dal rosa agli arancioni: "In questo periodo Rodolfo Bonetto disegna la M15 per Cimbali, il primo modello dell’azienda con profilo laterale a 'C', una forma più compatta che dà la possibilità al barista di manovrare più agilmente le lance vapore e i gruppi erogatori.

Nel 1983, Ettore Sottsass e Aldo Cibic disegnano la Faema Tronic, il primo modello elettronico.

Le macchine da caffé intelligenti

Nel nuovo millennio le macchine diventano intelligenti grazie all’internet of things, comunicano per la manutenzione da remoto, parlano con il macinadosatore, calibrano i profili di estrazione in modo diverso tramite programmazione da display.

Arrivano anche le superautomatiche, che permettono di trasformare il chicco in caffè semplicemente sfiorando un pulsante o un display, oppure scegliendo la propria bevanda preferita a distanza tramite app, senza neanche toccare la macchina".

Il racconto del caffé

Nelle decadi, cambiano non solo il design e la tecnologia, ma anche il modo di presentare e raccontare il mondo del caffè: "Negli anni Cinquanta la macchina era un oggetto scenografico protagonista della caffetteria, negli anni Settanta e Ottanta l’attrezzatura arretra per lasciare libero il bancone, dove servire più caffè contemporaneamente e incrementare la produttività.

Oggi invece si ritorna a progettare le macchine per essere messe sul bancone, con silhouette scultoree e formati compatti e bassi, che non bloccano la visuale ma permettono al barista di guardare negli occhi il proprio cliente.

Il coffee specialist che sceglie il caffè nella piantagione, lo ha tostato, lo ha 'coccolato', lo vuole anche raccontare, instaurando un rapporto diretto con chi ha di fronte.

I modelli contemporanei sono personalizzabili, disegnati su misura in base alle esigenze del barista.

Per esempio, Gruppo Cimbali dà la possibilità di customizzare i modelli con il brand Slayer, scelto nei coffee shop dove si fanno degustazioni. Lo specialty coffee si può preparare anche in casa, con macchine per uso domestico, come la Faemina, con gruppi erogatori professionali adatti a creare l’espresso di qualità e anche il caffè-filtro.

Inoltre, all’interno del museo c’è l'Academy di Gruppo Cimbali dove si tengono corsi di formazione su espresso e metodi di estrazione alternativi, per professionisti ma anche per coffee lovers".