L’architettura da sempre si è avvalsa di modelli, formali, concettuali e filosofici. Non trovi che da un po’ di tempo a questa parte i modelli latitano? Ritieni che sapremo dare forma a un ‘prontuario’ dell’architettura a venire?
Ad ogni crisi corrisponde, da sempre, un cambio di paradigma della società. C’è quindi certamente bisogno di nuovi paradigmi, adesso, non solo riguardanti la forma della città, ma sui processi che regolino la “forma” del progetto. Oggi abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione copernicana e, quindi, di una narrazione di noi stessi, non più all’apice di una scala lineare evolutiva, ma come un sottoinsieme di un processo circolare ecologico. Se vogliamo risolvere quindi una equazione impossibile, dobbiamo usare un po’ più di creatività e investire in ricerca sul “genoma” della città, più che sulle sue manifestazioni.
Per esempio potremmo cominciare a mettere in discussione proprio la dottrina della città come dicotomia tra artificio, cioè il progetto dell’uomo che non abbia come risultato l'ecologia delle risorse (escludendo l’idea del “rifiuto” come risultato finale), e dall'altra la natura. Oggi invece, nel migliore dei casi, ci limitiamo a ipotizzare la contaminazione tra il primo, cioè l'artificio, con il secondo, cioè la natura, per raggiungere livelli di sostenibilità accettabili.
Forse è possibile una progettazione che non si manifesti attraverso un artificio, ma che sia parte integrante di un processo ecologico e che sancisca, quindi, una nuova forma di alleanza tra uomo e natura che superi la necessità del bilanciamento di forze.