All’interno di un agrumeto ha tracciato segni enigmatici in un mosaico di 140 metri e ora l’artista Adrian Paci torna a Radicepura per un laboratorio sull’osservazione della natura

C'è tanto Adrian Paci a Radicepura di Giarre, provincia di Catania, in questa fine estate che per la Sicilia - tra incendi, blackout e mancanza d’acqua - ha messo a dura prova le comunità locali.

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Dell'artista - famoso per il suo lavoro sempre molto impegnato su tematiche sociali - c'è, innanzitutto, una bellissima opera, ispirata dalle parole di un ospite della comunità di Sant'Egidio e chiamata Compito #1. E ci sarà, dal 25 settembre al 4 ottobre, un interessante laboratorio aperto al pubblico (info e iscrizioni in calce e qui) in cui i partecipanti impareranno a guardare le piante come una realtà piena di suggestioni e di enigmi, per iniziare poi un dialogo con la natura e i suoi elementi.

La missione culturale di Radicepura

Creato e curato dalla famiglia Faro, Radicepura è un grande parco botanico tra l’Etna e il mare che raccoglie piante centenarie, piante rare, una collezione di giardini e opere d’arte a cielo aperto.

Per ripartire, dopo questa estate difficile - dicono i Faro - è bene farlo con progetti che alimentano gli immaginari attraverso la relazione umani e mondo naturale.

Come quelli di Adrian Paci, per l'appunto. Che con Compito#1 ha realizzato un grande mosaico a pavimento in pietra lavica e marmo di 140 metri quadrati, posizionandolo al centro di un agrumeto in crescita, e che nello sviluppo del laboratorio per unire l’osservazione della natura alle tecniche del mosaico sarà affiancato da Franc Paci.

Ci racconta la genesi di Compito#1?

Adrian Paci: "Compito#1 nasce come frutto di un processo che inizia con un invito da parte della comunità di Sant’Egidio a Roma, che continua con aver incontrato Maurizio, uno degli ospiti, e aver visto i suoi quaderni ed essermi rimasto fortemente colpito dalla forza che contenevano quelle pagine enigmatiche.

Tutto questo coincideva con un mio interesse di indagare gli spazi e le tensioni tra le forme codificate di comunicazione e quello che è espressione non codificata. L'insufficienza del linguaggio di esaurire l’esprimibile è un territorio che trovo fertile come artista.

C’era qualcosa di organico nei segni che Maurizio lasciava sul quaderno e allora l’ho immaginato di riportarlo nella forma del mosaico e posizionarlo tra le piante, le pietre e gli agrumi di Radicepura".

Si augura una particolare predisposizione d’animo verso l'opera?

Adrian Paci: "L’incontro con lo spettatore dovrebbe essere un’avventura per il lavoro e non qualcosa di prevedibile. Mi auguro che lo spettatore abbia questa tensione a essere portato in un viaggio, ma anche a far fare un viaggio al lavoro.

Non amo molto gli autori che costringono lo spettatore a obedire alle regole prestabilite oppure che li trattano come dei contenitori da riempire con un'informazione. L’arte non ha a che fare con l’informazione".

Come è andato il primo incontro con Maurizio?

Adrian Paci: "Perché mi ritengo uno spettatore, considero il rapporto autore-spettatore un duetto necessario per fare l’esperienza dell’opera. L’incontro con Maurizio durò poco. Lui non mi rivolse la parola.

Non parlava molto con nessuno. Scriveva in modo ossessivo su agende i suoi segni enigmatici che riempivano le pagine. Rimasi affascinato e chiesi di poterne avere uno.

Mi dissero che ne avevano tanti visto che lui le riempiva velocemente. Ho iniziato a guardarli, poi a copiarli, con la matita, con la pena poi con il pennello, su carta su ceramica, poi ho provato con il mosaico, con la tessitura della lana… e cosi via.

Sempre cercando di penetrare tra questi segni e indagando le loro potenzialità portandoli in territori diversi della materia senza pretendere mai di 'capirli'".

Quanto è importante 'non capire'?

Adrian Paci: "Capire è una nostra spinta naturale verso il mondo, quello esterno ma anche quello interno. Non c’è niente di male in questo.

Spesso però il capire tende a coincidere con l’esaurimento del rapporto, con il raggiungimento della conoscenza che porta la fine del desiderio e dell’attrazione verso l'altro.

Ecco allora che mantenere vivo sempre uno spazio del non capire non è semplicemente un gioco di ruoli ma una consapevolezza della complessità e dell’essere in divenire delle cose".

Come entra il mondo naturale nella sua ricerca artistica?

Adrian Paci: "La natura, la terra, le radici non sono solo oggetto di rappresentazione, sono condizioni nelle quali il nostro vivere ma anche il nostro linguaggio prende forma.

Questa forma pur essendo frutto di una nostra capacità di creare artefatto, perciò finzione, non può non fare i conti con l’energia che arriva dall’esperienza vitale la quale è capace di generare ma anche di mettere in discussione codici e narrazioni predefinite.

Ecco, in quanto artista, perciò uomo che fa cose artificiali, cerco di mantenere questa tensione vitale che arriva dall’organicità della natura della quale mi sento non solo un osservatore esterno, ma parte interna.

La mia ricerca mi piace vederla come un continuum dove non mancano le trasformazioni, ma dove principalmente cerco di sviluppare intuizioni che sono presenti da tanto tempo e non improvvisare lavori fatti per l’occasione.

In questo senso credo che l’esperienza con Radicepura sta a nutrendo e portando avanti lentamente questo percorso".

“Dall’osservare al fare” è il titolo del laboratorio a Radicepura. Cosa vuole stimolare?

Adrian Paci: "Mi ha sempre interessato la possibilità dell’arte di riattualizzare qualcosa considerata stupidamente scomparsa oppure obsoleta. In quel senso riprendere una tecnica come quella del mosaico, mi sembra un modo di ridare attenzione a qualcosa che non pretende niente da te, ma che se lo ascolti, riesce a stupirti.

Come certe figure anziane che incontri per caso in un bar di provincia che possono darti una boccata d’aria fresca più delle frasi fatte che circolano in certi ambienti cool.

Con le ragazze e i ragazzi che parteciperanno al laboratorio cercheremo di guardare le piante non come qualcosa di ovvio, ma come una realtà piena di suggestioni e di enigmi, come qualcosa dalla quale potrebbe partire una fantasia o scoprire qualcosa di profondo.

Questo dialogo con le piante poi lascerà lo spazio al dialogo con le pietre, con il martello e il ceppo del mosaico. È un invito di incontrare la porosità dell’altro ma anche di sentire l’empatia con il corpo delle piante così come con il corpo delle materie che utilizziamo".

Un’arte che guarda all’incontro, alla relazione con l’altro (umano e non) può insegnarci a cambiare il nostro approccio estrattivo e consumistico verso il pianeta? In un mondo che va a fuoco, pensi ci sia qualche lezione che possiamo fare nostra?

Mi viene subito di risponderti di sì. Dall’altra parte ho sempre cercato di tenermi distante da un certo atteggiamento paternalista di chi vede l’arte come uno strumento per insegnare qualcosa a qualcuno oppure per migliorare il mondo.

Non trovo più interessante l’atteggiamento del conquistatore, anche nel territorio del linguaggio.

Le avanguardie ci hanno abituato alla ricerca continua del nuovo, ma forse questa spinta ha esaurito un po' la sua energia. Penso che ci sia bisogno di un atteggiamento di ascolto, di cura e di voglia di coltivare in dialogo con le cose. Trovo questo un territorio fertile che attiva fantasie e regala immagini.

Il laboratorio “Dall’osservare al fare” si terrà a Radicepura dal 25 settembre al 4 ottobre. Iscrizioni entro il 16 settembre. https://www.radicepurafestival.com/attivita/dallosservarealfare/