Come è andato il primo incontro con Maurizio?
Adrian Paci: "Perché mi ritengo uno spettatore, considero il rapporto autore-spettatore un duetto necessario per fare l’esperienza dell’opera. L’incontro con Maurizio durò poco. Lui non mi rivolse la parola.
Non parlava molto con nessuno. Scriveva in modo ossessivo su agende i suoi segni enigmatici che riempivano le pagine. Rimasi affascinato e chiesi di poterne avere uno.
Mi dissero che ne avevano tanti visto che lui le riempiva velocemente. Ho iniziato a guardarli, poi a copiarli, con la matita, con la pena poi con il pennello, su carta su ceramica, poi ho provato con il mosaico, con la tessitura della lana… e cosi via.
Sempre cercando di penetrare tra questi segni e indagando le loro potenzialità portandoli in territori diversi della materia senza pretendere mai di 'capirli'".
Quanto è importante 'non capire'?
Adrian Paci: "Capire è una nostra spinta naturale verso il mondo, quello esterno ma anche quello interno. Non c’è niente di male in questo.
Spesso però il capire tende a coincidere con l’esaurimento del rapporto, con il raggiungimento della conoscenza che porta la fine del desiderio e dell’attrazione verso l'altro.
Ecco allora che mantenere vivo sempre uno spazio del non capire non è semplicemente un gioco di ruoli ma una consapevolezza della complessità e dell’essere in divenire delle cose".