È possibile progettarci, come fossimo oggetti, edifici o città? Secondo Patrizio Paoletti, che ci invita a guardaci dentro con la tecnica dell’Inner Design, sì. Ecco come

Patrizio Paoletti è meditatore e fondatore della International School of Self Awareness, che unisce la ricerca nelle neuroscienze all’arte, alla filosofia e all’economia: stare in silenzio, per un minuto al giorno, ci dice, può essere l’inizio di una rivoluzione, nostra e degli altri. Grazie a una tecnica che chiama dell’Inner Design.

Cos’è la Inner Design Technology?

È una pratica che dà accesso a cinque aspetti fondamentali che descrivono il nostro design interiore, cioè chi siamo davvero, al netto delle sovrastrutture.  Il primo passo per entrare in contatto con noi stessi è dirsi: “Posso farlo”, darsi la possibilità di creare una porta tra noi e quello che ci sta dentro, che è progettabile quando se ne ha consapevolezza.

La prima sfida da affrontare quindi è lo scollamento tra il mondo interiore e gli  stimoli esterni. Negli studi si ipotizza che per ogni singolo dato che raggiunge la coscienza superficiale, ce ne siano dieci milioni immagazzinati, e non gestiti, persi tra inconscio e subconscio. L’Inner Design è concedersi un minuto di silenzio per capire dove siano finiti, restando nel momento che stiamo vivendo, ascoltando il respiro.

Dopo il capirsi viene il progettarsi che lei chiama prefigurazione, cioè gettarsi in avanti. Come ci si allena a essere visionari?

Imparando a guardare oltre ai nostri orizzonti abituali, a prendere una nuova direzione. La nostra memoria incessantemente proietta i dati del passato per immaginare un futuro possibile. Che rischia così di essere sempre molto simile a quanto già esiste. Così come i progettisti reinventano continuamente gli oggetti nella forma e nelle funzioni, darsi il permesso di pensare e guardare qualcosa di diverso dal solito permette di allineare il futuro al diverso perché l’energia segue sempre il pensiero.

È immaginazione?

La prefigurazione è più di un processo immaginativo, perché, con la pratica del silenzio, fa riaffiorare risorse interiori nascoste che ci possono portare a realizzare il meglio per noi stessi.

La consapevolezza ci porta a un’ottimizzazione delle energie?

Certo, dobbiamo allenare la nostra capacità a lasciare andare il superfluo per liberare spazio fisico. Se ieri ridurre il numero delle finestre serviva ad avere meno freddo, oggi abbiamo architetture vetrate che non interrompono la relazione con lo spazio esterno. Anche noi possiamo riprogettarci per essere funzionali a noi stessi. Ma per capire cosa non serve più abbiamo bisogno di guardarlo dalla giusta distanza, perché per ognuno di noi c’è una messa a fuoco diversa. Se plasmiamo in libertà il nostro mondo incontreremo più facilmente quelli degli altri. Se invece ci uniformano a un design preconfezionato si genera tensione, le persone non si incontrano perché non si mettono in gioco.

Perché il buon design di se stessi aiuta a interagire meglio con gli altri?

Se il mio progetto interiore mi fa sorridere l’altro lo sente, sviluppa empatia. Prendere distanza significa anche che dobbiamo trovare la giusta posizione per noi.

Stare anche solo un minuto in silenzio ci dà accesso al nostro mondo interiore, ai nostri strumenti per progettarci, ricercare costantemente la nostra condizione migliore per offrirla a noi stessi e agli altri. Nessuno ce lo impone, ma ci conviene. Non si tratta di essere buonisti o altruisti, ma temporaneamente egoisti, perché se riusciamo a prenderci cura di noi stessi per un tempo, riusciremo a essere più veri, felici e quindi anche altruisti. La nostra autenticità ci migliorerà e migliorerà il mondo intorno a noi.

Quale sarà il vantaggio per gli altri?

Qualsiasi design interiore ha bisogno di una tecnologia esterna che lo mantenga in vita, altrimenti si sgretola, quindi è fondamentale mettere in atto ciò che ho disegnato, vivere l’ambiente che ho creato. E qui veniamo all’ultima fase della progettazione, che corrisponde al fare. Una ricerca di Alan Schlechter, che insegna Science of Happiness alla New York University, dice che per contribuire a migliorare il nostro mondo interiore e quello delle persone che ci vivono intorno è sufficiente fare cinque atti di gentilezza una volta alla settimana, senza attendersi una ricompensa. Diciamo che una volta al giorno è ancora meglio. Parafrasando ciò che ha detto il Dalai Lama: “Da giovane volevo cambiare il mondo, adesso che sono saggio voglio cambiare me stesso”, possiamo dirci: “Ora che sono saggio voglio cambiare il mondo, cambiando me stesso”.

Che posto ha la felicità nella nostra architettura interiore?

È la capacità di celebrare, dirci che il cambiamento è accaduto e godere di questo evento. Possiamo essere felici ancora prima di incassare’ le nostre azioni, godere di ciò che abbiamo progettato facendo un passo in dentro, non indietro. La felicità è uno stato interiore dell’essere, non dipende dai risultati che produciamo, non viene da fuori. La domanda non è: “Perché sono infelice?”, ma è: “Cosa posso fare per esserlo?”. La risposta è un progetto.

 

In apertura: NatureSauna, design studio aledolci&co., la sauna outdoor di Starpool pensata per entrare in sinergia con l’ambiente. Con il passare del tempo, infatti, il rame spazzolato a protezione del legno ossiderà in maniera differente a seconda del clima e il rivestimento ligneo, esposto agli agenti atmosferici, assumerà connotazioni irripetibili. La sauna Nature è un’oasi in cui percepire e beneficiare del potere rigenerante dei cicli naturali, durante tutto l’anno e con ogni clima.