Nel dibattito intorno al Ponte sullo Stretto, c'è un protagonista che dovrebbe distribuire la parola al tavolo e invece è il convitato di pietra: l'architettura.
E non è un caso che di questa opera colossale quasi nessuno ricordi l'autore, l'ingegnere inglese William Brown (neppure uno qualunque ma il progettista di ponti sospesi più autorevole al mondo).
Ridotto da tempo a tema da talk show, simbolo dell'approccio ideologico al futuro, "il ponte a campata unica più lungo del mondo" sembra essere ovunque meno che dove dovrebbe: negli interventi dei professionisti più titolati a parlare, se non altro, delle questioni progettuali e costruttive.
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È come se a un certo punto il relatore principale di un convegno avesse deciso di sparire senza neanche parlare, portandosi via le slide e il microfono.
Davvero, come hanno scritto l'anno scorso Giuseppe Inturri, Francesco Martinico e Fausto Carmelo Nigrelli su Micromega, "il Ponte sullo Stretto non è un progetto, ma un emblema"? Oppure c'è ancora spazio per una discussione laica, in cui gli architetti e l'architettura si riprendano il proprio posto?