Abbiamo chiesto a Mario Cucinella di parlare di edifici Net Zero e scoperto che, parlando di sostenibilità, è meglio essere cauti e realisti

Quando si parla di architettura Net Zero, dice Mario Cucinella, il rischio è di immaginare che la strada intrapresa ci porterà direttamente a vivere in città giardino, circondati da alberi e parchi e popolate da edifici ecologicamente intonsi, bianchi come colombe.

Mario Cucinella, una carriera dedicata pressoché interamente alla progettazione a basso impatto, ci mette in guardia. E invita a riflettere sulla voracità delle dinamiche produttive con un’immersione realistica nella realtà della crisi climatica.

“Il mio dubbio è che siamo alla ricerca continua di alibi, non di soluzioni reali”, commenta l’architetto. “La pratica progettuale è concentrata su architetture a basso impatto, ma esistono delle zone grigie su cui non abbiamo nessun controllo. Ci stiamo dando delle regole, abbiamo delle intenzioni sempre più sostenute dalle leggi europee in materia di edilizia. Ma il quadro generale non è risolto e difficilmente lo sarà nel prossimo futuro se non affrontiamo realisticamente la crisi climatica con scelte politiche collettive”.

Cosa significa guardare la crisi climatica attraverso i dati per farsene un’idea realistica?

Mario Cucinella: “Esistono due livelli di analisi. Il primo è di ordine umano. Coltivare una felice convivenza fra natura e città ha molto senso.

È un percorso che fa parte della nostra maturità culturale e progettuale ed esistono parametri che ne dimostrano l’utilità. Quando si chiede alle persone quali sono gli aspetti fondamentali per la creazione di benessere all’interno di un edificio, la risposta è invariabilmente la qualità dell’aria e la luce naturale.

Stato d’animo e creatività beneficiano in modo direttamente proporzionale della vicinanza con l’ambiente. E questa è una parte importantissima del tutto, di cui si tiene sempre più conto anche nelle certificazioni”.

Ma non è la soluzione per affrontare la crisi climatica?

Mario Cucinella: “La visione ampia riguarda l’inquinamento, il problema reale. In Italia produciamo 450 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Abbiamo alberi sufficienti per assorbire 50 milioni di tonnellate.

E se anche decidessimo di ripiantare abbastanza alberi per arrivare ad assorbire diciamo 400 milioni di tonnellate, non potremmo farlo, perché non c’è lo spazio.

Ovviamente penso che qualsiasi passo nella direzione giusta, per quanto piccolo, sia utile. Ma non possiamo proprio chiedere alla natura di risolvere un problema che noi non smettiamo di creare. Bisogna chiedersi: a cosa siamo disposti a rinunciare?”

Sembra quindi un problema collettivo, politico. L’ultima Cop28 di Dubai lo conferma. Ma procediamo per piccoli passi: cos’è un edificio net zero e perché non basta?

Mario Cucinella: “Net zero è una definizione su cui sono scettico. Cosa significa esattamente? Che costruiamo edifici che consumano molto poco perché sono progettati per non essere inondati di luce e di calore, o di freddo durante l’inverno.

L’operatività è alimentata da fonti rinnovabili. In questo caso io parlo di NZEB (Nearly Zero Energy Building).

Un 'quasi zero' che migliora, e di molto, l’impatto ecologico grazie a un progetto che definisce la propria qualità nel risultato energetico. È un punto che spesso sfugge.

Oggi riusciamo ad arrivare a consumi bassissimi, intorno a 7 KwH per metro quadro all’anno. Per comprendere meglio questo risultato basta dire che quindici anni fa eravamo intorno ai 250 KwH per metro quadro”.

Qual è l’accorgimento fondamentale per progettare un edificio Nearly Zero Energy Building?

Mario Cucinella: “L’architettura, il modo di progettare, i materiali sono tutti fattori sostanziali. L’obiettivo è isolare lo spazio da inutili sbalzi di temperatura.

Un edificio è climaticamente reattivo quando costituisce una protezione efficace dalle condizioni metereologiche estreme, sfruttando al contempo le risorse ambientali per sostenere la propria operatività.

L’opacità della superficie deve arrivare al 70%: abbiamo detto addio alle grandi superfici vetrate e le architetture recenti hanno un aspetto completamente diverso.

È una scelta che condiziona l’estetica ma che non può limitarsi all’esercizio tecnico, altrimenti lo spazio diventa invivibile. Nelle certificazioni LEED e in altre più recenti c’è un’evoluzione importante: si tiene conto dei parametri umani, del benessere delle persone che usano lo spazio. Il centro del dibattito si è spostato evolutivamente su criteri diversi”.

Un progetto di MCA ben riuscito dal punto di vista dell’impatto ambientale?

Mario Cucinella: “Il progetto per il nuovo Polo Universitario di Aosta è un buon esempio di come sia possibile immaginare un’architettura contemporanea che coopera in modo funzionale con il paesaggio e con il clima.

Colori e caratteristiche creano un legame con il paesaggio alpino innevato, discostandosi dalla rigidità delle preesistenze della Caserma Testafochi.

Dall’altro generano una forma che garantisce le performance energetiche con l’obiettivo di farne uno dei primi edifici pubblici italiani NZEB.

Si tratta quindi di un equilibrio delicato fra benessere umano e progettazione a basso impatto energetico?

Mario Cucinella: “I parametri qualitativi tengono conto di entrambi. Rimane comunque una zona poco indagabile che riguarda altri costi di CO2: la produzione e il trasporto di materiali, la logistica, l’operatività del cantiere, la manutenzione.

Sono dati difficilmente misurabili e, per quanto riguarda i materiali, siamo ancora lontani dall’avere numeri chiari. Qualsiasi attività umana produce una carbon footprint.

Credo che sia importante stare attenti a non trovarsi degli alibi, come ad esempio la compensazione. Può darsi che a fronte del tentativo di rimediare la nostra produzione di CO2 a Milano, in Brasile si respiri meglio perché piantiamo qualche chilometro quadrato di foresta. Qui invece continueremo a vivere in un luogo inquinato”.