Il 17 settembre apre al MoMA NY una grande mostra sulle Emerging Ecologies: Emilio Ambasz ci ha spiegato cosa sono

Emilio Ambasz, che curò la celebre mostra al MoMA The New Domestic Landscape sul design italiano nel 1972, supporta con una donazione la Emerging Ecologies (dal 17 settembre al 20 gennaio 2024 al museo newyorkese).  Perché, spiega, “architettura e natura non sono mai andate d'accordo, ma ora dobbiamo cambiare pagina”.

"Io divido gli architetti in tre categorie”, dice Ambasz. “Ci sono gli architetti artisti, che creano nuovi modelli e fanno cultura. Poi ci sono i bravi architetti, che non inventano nulla ma si muovono in maniera eccellente dentro i canoni dei colleghi del primo gruppo. E infine ci sono gli architetti degli stereotipi, che replicano il lavoro dei primi e dei secondi. A me interessano ovviamente gli architetti artisti, sono quelli che fanno cultura".

A 80 anni, Emilio Ambasz mantiene vivissima e lucida quell'attitudine critica a cogliere, interpretare e distinguere che, cinquantuno anni fa, fece la fortuna del design italiano nel mondo.

Nel 1972, curando la mostra al MoMA Italy, the new domestic landscape, Ambasz rilanciò in tutto il pianeta l'immagine di un Paese e della sua creatività, assurta a punto di riferimento avanzato di un metodo progettuale moderno.

Il 17 settembre Ambasz torna al MoMA, istituzione con cui ha sempre avuto un rapporto speciale, e lo fa per la prima volta nella veste di patrocinatore.

Nel 2020, una generosa donazione della Legacy Emilio Ambasz Foundation ha dato vita, all'interno del museo newyorkese, all'Istituto intitolato al maestro e dedicato "allo studio congiunto dell'ambiente costruito e naturale".

Tre anni dopo, arriva la prima mostra sostenuta dall'Istituto, con un titolo che è già un programma, Emerging Ecologies.

La retrospettiva è dedicata a centocinquanta opere, realizzate e non, che hanno "anticipato, ispirato, affrontato, sviluppato le tematiche ambientali ed ecologiche negli Stati Uniti dagli anni Trenta agli anni Novanta del Novecento", come spiega la nota per la stampa. Di questa mostra, Ambasz non è ovviamente il curatore, ruolo che il MoMA ha affidato a Carson Chan: "Chi finanzia un evento culturale deve poi tenersi distante dai contenuti: io ho creato il fondo e lasciato libero il museo di fare la mostra come riteneva opportuno".

Come nasce l'idea di Emerging Ecologies?

Emilio Ambasz: “Viviamo un'emergenza ambientale senza precedenti. Ogni edificio è un'intrusione nel regno vegetale ed è una sfida alla natura: dobbiamo ideare un'architettura che sia l'incarnazione di un patto di riconciliazione tra natura e costruzione, progettando edifici così intrinsecamente connessi all'ambiente circostante che non sono in grado di districarsi gli uni dagli altri.

Credo che per veicolare questi temi e questa sensibilità non bastino eventi spot, quelli che in inglese si chiamano fruit of the week, iniziative che lasciano il tempo che trovano.

Così, tre anni fa ho pensato che fosse giusto fare una donazione che a sua volta sostenesse mostre ben fatte e con un senso profondo.

Non ho figli, il lascito al MoMa è stata per me la cosa più giusta da fare.

Questa mostra nasce dopo quattro anni di confronto con il museo ed è la prima vera retrospettiva su architettura e ambiente realizzata per un pubblico non di soli architetti e addetti ai lavori, come è giusto che sia, perché un museo, soprattutto se internazionale e prestigioso come il MoMa, ha il dovere di monitorare la realtà e di condividere con il pubblico i risultati della sua valutazione di quel monitoraggio”.

In mostra ci sono opere di Frank Lloyd Wright, James Wines, Richard Buckminster Fuller, Beverly Willis e anche di Emilio Ambasz.

Emilio Ambasz: “Le mie opere sono gli unici contenuti della mostra che conosco e che mi sono stati comunicati, visto che, come dicevo, non ho interferito con la curatela.

Ci sono tre progetti realizzati e uno rimasto sulla carta. A quest'ultimo tengo molto: è la proposta di ristrutturazione dell'edificio Eni all'Eur di Roma: venticinque anni fa, proposi di trasformare le facciate del grattacielo, che aveva bisogno di cambiare le vecchia facciata climaticamente non-funzionale per una nuova, in pareti verdi: le piante, con il loro ciclo di fioritura, sarebbero state una narrativa ecologica potente con la quale l’ENI dichiara una speranza ecologica, mentre un'ulteriore parete, in vetro, a metà tra il corpo dell'edificio e la parete green, avrebbe garantito una migliore regolazione climatica all'interno.

In mostra ci sono anche progetti più noti come la Casa de Retiro Spiritual a Siviglia, il centro Acros a Fukuoka e il San Antonio Botanical Garden in Texas: sono tutti progetti in cui l'architettura protegge dal clima, lo mitiga e lo regola, non lo fa subire. Progetti in armonia con il paesaggio”.

C'è un momento esatto in cui l'architettura ha iniziato a diventare aliena alla natura?

Emilio Ambasz: “Io capovolgerei la domanda. Non è che a un certo punto si crea una frattura tra architettura e natura: da sempre, la visione occidentale porta il progetto a considerare la natura come qualcosa da vincere e superare. Per tradizione, l'architettura è un giardino artificiale che non va d'accordo con quello naturale. Non c'è un momento esatto a cui ricondurre questa rottura perché non c'è mai stata unità”.

Molti architetti oggi non amano parlare di sostenibilità, dando per scontato che una buona architettura è ecologica. Che cosa ne pensa?

Emilio Ambasz: “Io divido gli architetti in tre categorie. Ci sono gli architetti artisti, che creano nuovi modelli e fanno cultura. Poi ci sono i bravi architetti, che non inventano nulla ma si muovono in maniera eccellente dentro i canoni inventati dai colleghi del primo gruppo.

E infine ci sono gli architetti degli stereotipi, che replicano il lavoro dei primi e dei secondi. A me interessano ovviamente gli architetti artisti, quelli che creano nuova cultura: Tadao Ando, Renzo Piano, Jean Nouvel, che sono anche autori di architetture ecologiche”.

Che cosa pensa del Bosco Verticale, considerato da molti uno standard internazionale di architettura green?

Emilio Ambasz: “Sono felice che ci sia un palazzo con le piante ai balconi”.

L'architettura ecologica passa dal repertorio di nuovi materiali eco o è molto altro?

Emilio Ambasz: “I neomateriali sono senza dubbio un supporto importante, ma nell'architettura sostenibile è altro a fare la differenza. Ci sono costruzioni di secoli fa dove si vive bene d'estate e d'inverno senza climatizzatori e riscaldamento, anche in zone molto calde o molto fredde. Ad ogni modo, prima ancora che bravi architetti serve altro per avere un'architettura sostenibile”.

Ovvero?

Emilio Ambasz: “Un sistema di valori sociali che si rispecchi in quello fiscale. Se vogliamo un'architettura ecologica, dobbiamo prevedere un sistema di sgravi e di facilitazioni per chi sceglie la strada virtuosa.

Le norme fiscali sono lo specchio in cui si riflettono i valori di una società: posso dire di avere gli obiettivi più nobili in fatto di ambiente, ma se non aiuto i progettisti e il pubblico a raggiungerli, quegli obiettivi restano astratti”.

Esiste una scena italiana del progetto sostenibile come cinquant'anni fa c'era quella del new domestic lanscape?

Emilio Ambasz: “Mi auguro che esista. Gli architetti italiani sono bravi, grandi talenti scarsamente supportati”.