Una chiacchierata con l'architetto e designer Marco Zanuso jr in occasione del recente lancio di Babila, la lampada da esterno dal corpo specchiato che ha disegnato per la spagnola Marset

Milanese, laureatosi in architettura a Firenze – dove entra in contatto con i ‘radicali’ Sottsass, De Lucchi, Branzi e Mendini – Marco Zanuso jr, nipote di uno dei fondatori del design industriale italiano, è titolare dal 1991 con Daniele Nava di uno studio a Milano in cui si occupa di consulenze e progettazione di edifici residenziali, uffici, abitazioni private e allestimenti di mostre. Lo abbiamo intervistato in occasione del lancio di Babila, la lampada per esterni che il designer ha sviluppato per il brand spagnolo Marset

Come è nata la collaborazione con Marset? Conosceva già l'azienda?

Con Marset ci conosciamo da tempo grazie a Christophe Mathieu, mio grande amico e storico designer dell'azienda. Già in passato con questo marchio avevo sviluppato un progetto di lampada realizzata interamente in vetro trasparente, la Montana.

Babila è una lampada molto connotata, di personalità. Da dove nasce l'idea della sua superficie specchiata?

Da una mia riflessione, vale a dire dal fatto che le lampade assumono il carattere degli ambienti che le circondano. Per questo ho pensato a un oggetto che generasse una luce indiretta ma che fosse anche in grado di riflettere i mutamenti di quella solare, il passaggio delle nuvole e l'aspetto della natura circostante. L'idea di partenza è stata quella di sviluppare un progetto che, ovviamente, facesse luce nelle ore di buio, ma che continuasse a essere un oggetto vivo e dinamico anche di giorno, confrontandosi con la luminosità solare. La cosa interessante delle lampade outdoor, a mio avviso, è proprio l'interazione tra luce naturale e artificiale: un rapporto molto importante ma che spesso viene sottovalutato. Forse perché fare i conti con la bellezza del buio è un lusso che richiede cure e attenzioni. 

Come mai il nome Babila?

Mi piaceva il suono quasi onomatopeico della parola, che si sposa bene con la forma a bolla della lampada. Inoltre rappresenta un esplicito omaggio alla mia città, Milano.

Progettare una lampada significa non soltanto fornirle un'estetica gradevole, ma anche far sì che generi una luce giusta. Come è arrivato a ottenere questo risultato?

Con Juan Gaspar, art director di Marset e responsabile dei nuovi prodotti, ci siamo parlati e capiti fin dall'inizio. Entrambi concordavamo sull'idea di ottenere una luce indiretta molto gradevole, che però fosse allo stesso tempo in grado di caratterizzare i progetti con cui sarebbe venuta a contatto, dialogando quindi con l'architettura.

Allargando il discorso sul suo percorso: lei durante i suoi studi è entrato in contatto con l'architettura radicale, cosa le ha lasciato quella esperienza?

Direi soprattutto un atteggiamento mentale di fondo, che nasceva dal rapporto e dal confronto con gruppi di lavoro dalle idee affini. Poi anche la voglia di sperimentare, di creare stimoli e nuovi collegamenti, sempre con la massima libertà, cercando di non farsi troppo condizionare dal mercato e dalle aziende. Una cosa, questa, che ho continuato a perseguire nel corso della mia carriera, forse anche troppo...

Da un anno stiamo vivendo un incubo pandemico di cui, forse, si inizia a vedere se non la fine almeno la speranza di un rallentamento. Che ruolo dovrebbe avere secondo lei un progettista in un momento storico come questo? 

Sono tempi difficili, ma io sono convinto che i grandi traumi, come la seconda guerra mondiale e come questa terribile epidemia planetaria, possano portare trasformazioni e innovazioni. E i progettisti dovrebbero impegnarsi nel favorire evoluzione e crescita.